La Pelle

Per questo secondo articolo non sono in un bar come nel precedente ma in una delle strade principali che c’è in uno dei centri di Pechino. Sanlitun si chiama la zona. Puoi cercarla online; è affascinante. Qui ci sono discoteche, ristoranti di un certo tipo, grattacieli, centri commerciali di 30 piani, negozi di lusso. Ti sorprenderesti nel vedere quante Rolls Royce e Ferrari ci sono che passano di qui. E questa non è neanche una delle aree più ricche.

Non mi piace venire in queste zone ma mi ci ritrovo a venire spesso per vari motivi e ogni volta penso: “I don’t belong here”, che in italiano più o meno vuol dire: Non appartengo a qui, non appartengo a questo posto. Già. Eppure ci sono. Eppure le lascio aver peso e le lascio prender spazio a questa mia contraddizione che mi vede seduto a terra, sul marciapiede di questa strada a bere un energy drink, con di fianco una busta di Louis Vuitton ed una di Balenciaga. “I don’t belong here” eppure “here” vengo a prendere i regali per mia moglie. Ma a chi prendo in giro? Mi piace venire qui. Mi piace venire qui con la mia faccia e la mia pelle in mezzo a questi altri che la mia faccia e la mia pelle non ce l’hanno. Mi piace venire qui a farmi guardare male entrando e a farmi ringraziare uscendo. L’ho sempre fatto. Mi piace venire qui con la mia pelle e sapere di potere. Ma a chi prendo in giro? Odio venire qui e ricordare che prezzo ha avuto questo potere.

Ti racconto una storia.


Appena arrivato a Milano mi chiamavano “Il Gangster”; e potevo immaginare il perché. Venivo da giù (e non capisco come mai ma nella cultura di massa ignorante venire da giù vuol dire già qualcosa di negativo), vestivo largo con le catene al collo, col giubbino di pelle, coi pantaloni larghi e bassi e coi capelli lunghi fino al sedere raccolti in un codino o in una treccia… insomma, non un classico volto che vedi tra i banchi di ingegneria a Milano!

Il Gangster “.

E ad essere sinceri all’inizio mi piaceva quel soprannome. Ero sempre stato diverso ed ora anche lì lo ero, ed ora anche lì lo sapevano. Ma col tempo, crescendo immagino, quel “titolo” cominciava a stancarmi. Sentirselo dire in classe davanti ai professori, davanti a futuri amici, futuri colleghi di lavoro o magari futuri capi di lavoro non era il massimo. E ancor di più non era il massimo sentirselo dire alle spalle. L’ambiente universitario è diverso da quello della strada e se cominci ad essere riconosciuto per le cose sbagliate, ne paghi le conseguenze quando poi l’università finisce. Non volevo quello. Non era quello che stavo cercando di costruire. Così dopo poco, grazie anche all’aiuto di una persona, ho deciso di cambiare. Ho tagliato i capelli, ho tolto le catene e ho cominciato a vestire “più stretto” e “più elegante”. Polo Dior, camicie Burberry, magliette Versace, jeans Ck, cinture Hermes, scarpe Paciotti, sneakers Zanotti, anfibi Gucci, mutande Armani. Non c’era una boutique di Montenapoleone che non avevo visitato. E devo essere sincero? Cominciavo a prenderci gusto! Ero diventato un’altra persona, MI SENTIVO un’altra persona. Migliore?! Non so! Ma sicuramente diversa.

Eventualmente i corsi ricominciarono. Si ritornava in aula.

Era stato uno shock per le persone che mi conoscevano e mi avevano visto crescere vedermi così diverso da un giorno all’altro. Ed erano felici di quel cambiamento. Sapevano cosa voleva dire e sapevano che mi avrebbe portato via da determinate strade… di pensiero. Ed era strano persino per me, quando passavo davanti agli specchi dei negozi o davanti ai finestrini delle macchine, vedere quell’immagine riflessa. “E chi è quello?!” pensavo, mentre mi facevo una risata e mi dirigevo verso l’università. Ero curioso. Ero curioso di vedere le facce degli altri. Ero curioso di sentire com’è che suonava sentirsi chiamare Paolo l’ingegnere. O magari non so, qualcosa di simile. Beh, vuoi saperla una cosa? Non l’ho mica saputo poi com’è che suonava sentirsi chiamare in quel modo! Perché da “il gangster” ero passato a “il mafioso”. Giusto! Non lo avevo considerato, (silly me!). Il gangster veste largo e senza marche in vista. Il mafioso veste stretto e costoso. Che stolto ero stato a non averci pensato prima!

Finisco l’energy drink, butto la lattina nel cestino facendo canestro e mi rialzo. Prendo da terra le due buste e torno nella mia zona, tra chi la differenza della pelle non la vede.


Abbiamo la pelle che abbiamo e dobbiamo esserne fieri e orgogliosi. Perché la nostra pelle racconta la nostra storia e la storia di chi questa pelle ce l’ha data. Non dobbiamo cercare di cambiarla; non per gli altri, almeno. Anche perché se la vuoi con le strisce bianche e nere, la gente ti dirà sempre che in realtà ce l’hai con le strisce nere e bianche.

Non ne vale la pena.

Non ne vale la pelle.

2 Comments

  1. Spesso gli altri tentano di cucirci addosso una pelle che non ci appartiene.. Siamo noi che non dobbiamo mai permetterglielo! Dobbiamo essere fieri della nostra pelle qualunque essa sia.

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