23 Novembre 2021

Diario Aperto - Paolo Cuciniello - Storie e Riflessioni

Caro diario,

qualche tempo fa, col fatto di voler cambiare e sperimentare cose nuove, ho deciso di scriverti alla sera piuttosto che al mattino, ma, considerando quanto ti ho scritto fino ad oggi, non credo sia stata una buona idea! Credevo… credevo di potere. Credevo di riuscirci. Credevo di essere ancora quel ragazzo che restava sveglio la notte per scrivere. Credevo ancora di poter scindere l’uomo dallo scrittore. Credevo… ma credevo il falso perché non sono più quel ragazzo di una volta. Semplicemente. La notte adesso dormo e se sono sveglio è perché sono tra le labbra di una donna o in quelle di un drink, con amici. Le responsabilità cambiano. Mi sono reso conto che davvero lo fanno! Dopo una giornata ad usare la testa, al lavoro, non c’è nulla che smuove le parole, alla sera. C’è solo la voglia di staccare, di… lasciarsi andare. Dubito che chi lavora e beve, scrive libri. Se lo fa è perché: o non è bravo nel suo lavoro, o non beve abbastanza! Diverso è per chi come lavoro, scrive. Ovviamente! Se una volta esser brillo mi portava a riempire pagine su pagine, adesso esser brillo mi porta a viaggiare così lontano, e a parlare di cose così grandi, che non riesco più a racchiuderle in una pagina di diario… Non riesco e non voglio. Esatto… non riesco e non voglio.

Ho finalmente capito perché pensavo troppo prima di scrivere, caro diario. Ho finalmente capito ed ora ti trascriverò qui a computer, in una tua pagina, ciò che invece ho scritto a penna la settimana scorsa

Ho finalmente capito perché pensavo troppo prima di scrivere… perché non scrivevo con il ponte, (la mano), ma con la testa. Perché scrivevo per gli altri in questo diario. Ora invece, qui, solo, scrivo per noi. Per me e per te, mentre ho paura. Mentre ho paura, Paola, e ti chiedo di tenermi la mano come quando me la tenevi da piccolo per andare in bagno. Te lo ricordi? Tienimela ancora. Tienimela ancora. Sono sempre lo stesso, ora. Lo stesso bambino impaurito… nonostante il tempo. Nonostante il volto. Nonostante i capelli grigi e i dolori… e i peccati.

Eccomi di nuovo qui.

Ho al collo il rosario di legno bianco che ci ha regalato nostro fratello e, mentre lo stringo, sento il peso della sua croce. Sento il peso della sua croce che mi toglie il fiato tanto che è grande, e mi chiedo perché non sei rimasta tu. Perché non sei rimasta tu.

Pensavo a come dev’essere tornare con te. A come dev’essere morire e rinascere.

Te le ricordi le prime volte che hai cominciato a farti sentire? Le prime volte che hai cominciato a parlarmi, a toccarmi? Ricordo che ti dicevo di accarezzarmi il cuore e tu con la tua mano che lo facevi… È ad allora che ho cominciato a sentire i primi giramenti di testa e i brividi sotto pelle. Ed anche quando stavo per perdere i sensi, non avevo timore perché sapevo che c’eri tu. Perché sapevo che eri tu. Mi lasciavo andare a quel giramento. A quel vuoto che da dietro la nuca mi prendeva e mi tirava a terra. Mi lasciavo andare e mai cadevo, anzi, dopo i brividi arrivavano, e ti vedevo.

Però dimmi, perché allora adesso ho paura, quando la testa gira? Perché ho paura di lasciarmi tirar da dietro, ora, e mi ritrovo a porre resistenza?  Non sei forse sempre tu? Non sei forse ancora tu? Forse no, non questa volta. O forse sono io, non so. Perché? E anche se tu non fossi, che timore ho? Che timore ho di avere se tu sei con me? Che siano ancora solo paure di un bambino che deve andare in bagno?

Ridi tu, vero? Si, ridi. Ti sento perché sto cominciando a ridere anch’io… rido e sto bene. Rido e sto bene mentre finisco di trascrivere queste parole su questo diario, rendendomi conto di quanto questo diario in fondo sia solo un allenamento… non la vera partita. Non la vita. Mi stavo facendo carico di un inutile peso. Quante volte lo facciamo?

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