Che silenzio stamattina alle tre quando mi sono svegliato. Che silenzio fuori. Che silenzio dentro.

Era da un po’ che non lo sentivo.
 
Persino il respiro taceva.
Persino il sangue fluire
fluiva piano.
Persino la notte.

Era da un po’ che non la sentivo.

Dovrei cominciare a sistemare questo diario perché tra due mesi dovrò pubblicarlo in un libro. È già passato un anno. L’estate scorsa mi sembrava un’impresa impossibile questa e invece, ora, quanti giorni sono che ci parliamo? Quanti giorni sono che vi scrivo, quanti che mi leggete? 
Mi viene da pensare alla forza di un diario. Alla potenza della parola. 

Ve lo dicevano da piccoli che le parole possono far più male della spada? A me dicevano anche che possono far più bene di una carezza e leggendo i vostri messaggi non potrei esser più d’accordo. Mi dispiace solo che molti li ho cancellati, (sempre per quella mia concezione che le cose belle devono restare dentro e non fuori). Ma per fortuna Angela mi ha convinto a conservarlid’ora in avanti. “Perché che ne sai se un domani non ti verranno in soccorso proprio quando ne avrai più bisogno? Una carezza fa sempre bene”, mi ha detto. Una carezza fa sempre bene. Pensavo poi a se organizzarlo soltanto o farlo correggere anche, questo diario. Di certo ci saranno errori grammaticali qui e lì, errori di forma, errori di verbi. Ma quasi, quasi vorrei lasciarli. Quasi, quasi vorrei non correggerli perché davvero così parlo mentre al mattino bisbiglio in silenzio e vi scrivo. Già me li immagino i commenti dei “colti” poi, dei letterati. “Nemmeno italiano sa parlare e scrive libri?”

Sì, mi piace l’idea

Nemmeno italiano so parlare e scrivo libri. Nemmeno italiano so parlare e tocco le persone da così lontano. Credo che non correggerò proprio nulla. Tanto chi si soffermerà sulla virgola messa al posto sbagliato alla fine sa già tutto, non avrà di certo bisogno di leggere un altro libro di Paolo Cuciniello. E poi, per come la vedono loro, mica mi pubblica la Mondadori? Perciò a prescindere non posso saper scrivere. E ci hanno ragione! Io mica so scrivere.


Sorrido mentre penso a quante volte da piccolo, questo mio spirito ribelle, mi ha portato a fare così.
Pensate siano fighi ora, nel 2022, gli artisti che vanno in TV con la giacca abbottonata senza maglietta sotto? Io lo facevo a quattordici anni. E forse anche prima. Quando per voi era solo volgare. Quando non era la moda ma ero io. Mia madre mi diceva di vestirmi con la camicia e la cravatta per i matrimoni, i battesimi o i compleanni di amici o amici di amici di un certo “ranco sociale”. Io ci andavo coi capelli tinti di rosso, la canottiera e le collane. Io ci andavo vestito largo con la camicia vecchia Versace di mio fratello e i jeans doppio colore strappati. Quando loro nemmeno sapevano chi era Versace
La pelle che abbiamo.

Ve lo ricordate quell’articolo?

Ecco un’altra mattina dal cielo chiaro e dall’aria pulita ed ecco un altro Paolo seduto a pensare che dovrebbe andare a correre e non lo fa. Ultimamente mi ritrovo spesso così. Soltanto a pensare che dovrei agire mentre arriva sera e un altro giorno passa. In mia difesa però, mi dico, comunque mi alleno in casa e vado al parco a leggere.

Quante scuse che ci diciamo da soli, ah? Ti capita mai o sono l’unico?

E oramai lo so che ogni scusa che ci creiamo, ogni cosa che non facciamo ma che sappiamo dovremmo, rompe ogni volta qualcosa in noi che non si riaggiusterà più. Rompe ogni volta qualcosa in noi che ci rende sempre un po’ più lontani dalla versione di noi stessi che vorremmo essere. Ha senso quello che ho detto? Quello che intendo è che anche noi abbiamo una propria “integrità” ai nostri occhi. Ci sforziamo così tanto di non rompere una promessa fatta a un bambino o ad un amico eppure non ci pensiamo due volte a rompere quelle fatte a noi stessi. Oggi andrò a correre, stasera andrò in palestra, in pausa pranzo chiamerò mia madre, a cena chiamerò mia nonna, oggi pomeriggio non mangerò alcuno snack, domani digiunerò, domenica andrò a messa, la settimana prossima inizierò il fioretto, da domani non mangerò più dolci, da lunedì avrò un attitudine più positiva, da settembre cambierò vita, questa sigaretta è l’ultima, questa birra e poi torno a casa, devo smetterla con le persone che non valorizzano la mia persona, devo cambiare amicizie, domani comincerò quel libro, domani finirò quell’altro. Davvero credi che tutte quelle promesse non mantenute, (tutte quelle volte che è successo da che hai memoria), non abbiano in qualche modo influenzato il pensiero di te stesso che hai? Anche solo nel subconscio… anzi, forse specialmente nel subconscio. Perché poi siamo bravi a trovarci e dirci delle scuse, appunto. Non vado a correre ma faccio dieci flessioni. Non vado in palestra ma va bene perché oggi sono stanco. Non chiamo mia madre ma è ok perché se non stava bene mi avrebbe chiamato lei. Non chiamo nonna stasera, l’ho già sentita a Pasqua. Non posso digiunare domani, fa troppo caldo. A messa ci vado la settimana prossima, c’è vento oggi. È il compleanno di mio cugino, non posso smettere di fumare e bere proprio stasera. Settembre non è iniziato come volevo, cambierò vita da Natale. Promesso!

A questo proposito ne parlavo con un amico di recente. Mi ha confidato che crede di avere una dipendenza dal cellulare. Gli ho detto che più persone di quanto immagina ce l’hanno ma che poche lo ammettono. Mi ha confidato che comincia a usarlo da appena sveglio, neanche apre gli occhi al mattino e già lo prende per controllare i messaggi. Poi passa a Instagram. Poi passa a rispondere su WhatsApp. Poi ritorna su Instagram per ricontrollare le notifiche e i likes. Poi scorre i feed. Poi però si alza e va in bagno… col telefono in mano. Mentre fa la pupu controlla Facebook e da il buongiorno alla fidanzata. Poi però lo posa perché deve lavarsi. Ma durante la colazione c’è sempre qualcosa che deve controllare e allora… e così via durante il resto della giornata. A lavoro e poi la sera. Mi ha detto che ha provato più e più volte a smettere ma che non ci riesce. Però ora lo usa di meno, dice. (E questa già mi sa tanto di scusa). È stato difficile rispondergli. È stato difficile perché anch’io ho le mie dipendenze, so che vuol dire. Sono vent’anni che mi dico che non devo bere da solo mentre sto aprendo una bottiglia di vino seduto al tavolo da solo. Allora gli ho detto che potrebbe quanto meno essere “aware” (che in italiano dovrebbe significare cosciente) quando sente che deve prenderlo. Di contare fino a dieci prima di chiedersi se è davvero necessario. Poi di aspettare ancora un po’. Di aspettare ancora un po’ perché poi l’impulso passa. Fidati che passa. Perché non crolla il mondo se non vedi ora chi ti ha messo like. Perché non muore nessuno se non ti distrai da quello che stai facendo perché il telefono si è illuminato. Che “qualcuno potrebbe avere bisogno” è soltanto un’altra scusa che ci diciamo. Nessuno ha davvero bisogno di te. Nessuno ha davvero bisogno di noi, per telefono. Se il capo ha bisogno di te ti chiama non ti scrive. Se mamma è morta ti chiamano non ti scrivono. Se la ragazza… beh! Le foto hot della ragazza arrivano per messaggio, è vero. Ma anche lì, se è la tua ragazza sa che sei impegnato e che giocherete quando poi leggeraiL’attesa del piacere è anch’essa parte del piacere, si dice, no? Per cui davvero. Controllati quando senti che devi prendere il telefono. Controllati e non farlo. Solo così alleni quel muscolo, solo così la forza di volontà aumenta, solo così resti integro non rompendo quelle promesse fatte a te stesso. Solo così puoi amarti un po’ di più anche oggi. 

Non ci credi? Provaci. Provaci e mi dirai. 

Nel frattempo apro un’altra bottiglia!

È bene meditare su ciò che gli altri ci stanno dicendo prima di parlare; è meglio fare qualche secondo di silenzio in più che dire la cosa sbagliata, a volte. Altre sbagliare fa bene. È bene mettersi nei panni di chi si ha di fronte. È bene ricordarsi che esistono tre e quattro stagioni a seconda di se si muore a ottobre o no. È bene ricordarsi che non siamo su diversi livelli gli uni e gli altri ma in un diverso capitolo quando c’incontriamo. È bene ricordarsi che aver saputo più cose sugli argomenti trattati in una cena non vuol dire che si sapevano più cose di chi si aveva di fianco. È bene ricordarsi che studiare le montagne non vuol dire sapere cosa si prova a scalarle. È bene ricordarsi che saper nuotare non vuol dire saper cosa vuol dire essere un pescatore e vivere del mare. È bene ricordarsi che guadagnare di più non vuol dire essere più felice. È bene ricordarsi che avere una casa più grande non vuol dire avere una vita più piena. È bene ricordarsi che avere un rolex d’oro non vuol dire avere un tempo più prezioso. È bene ricordarsi che avere una moglie più bella non vuol dire avere un matrimonio più felice. È bene ricordarsi che avere una vita più lunga non vuol dire avere una vita più profonda. È bene ricordarsi che avere il potere non vuol dire avere il rispetto. È bene ricordarsi che avere il rispetto non vuol dire avere l’amore. È bene ricordarsi che l’amore non è quello che gli altri ti danno ma quello che tu dai agli altri. È bene ricordarsi che la luce che vedi con gli occhi non è fuori ma dentro te. È bene ricordarsi che in una galassia così piccola nell’universo, in un sistema così piccolo nella galassia, in un pianeta così piccolo nel sistema, in una città così piccola nel mondo, in una via così piccola nella città, in una casa così piccola nella via, in una stanza così piccola nella casa, in uno spazio così piccolo nella stanza in cui poggiamo i piedi, non possiamo essere uomini così tanto grandi quanto crediamo. È bene ricordarsi che essere così piccoli non è un male. È bene ricordarsi che essere così piccoli e spogliarsi è bello. È bene ricordarsi che non siamo questo corpo né questi pensieri… ma altro. 

È bene ricordarselo.

Come ce lo dimentichiamo in fretta che le azioni che facciamo nel presente ritorneranno indietro anche nel futuro. Come ce lo dimentichiamo in fretta che le parole che diciamo adesso risuoneranno anche quando saranno uscite dalla nostra bocca, ormai già lontane. 

Ci pensavo guardando una vecchia fotografia di un compleanno sbiadita. Sbiadita dall’odio e dal male che ci fu in quell’occasione. Senza farsene accorgere, quell’odio e quel male, quelle parole dette senza contare fino a dieci in un momento di rabbia nel passato, sono tornati a me stamattina. È curioso. È curioso come non sempre ce ne rendiamo conto che scrivendo adesso, con le azioni che facciamo, scriviamo nel nostro futuro. Dovremmo ricordarcene più spesso, più spesso esserne coscienti; Così da regalare solo ricordi belli al futuro delle persone che amiamo. 

Perché domani anche loro ritroveranno vecchie fotografie… e chissà di che colore saranno.

Ogni volta che dico che i soldi non m’interessano c’è qualcuno che mi risponde che è perché ce li ho. Ancora non riesco a capire come controbattere a questa risposta. Ancora non riesco a capire come fargli capire cosa voglio dire… ma forse hanno ragione loro. Forse hanno ragione loro perché, “hey, hai letto cosa ho detto ieri? Per me è facile!” 

Mi rimproverano di fare come quel tale che da sopra la montagna dice agli altri che a scalare fino in cima non ci vuole niente. Ma su quale montagna credi che io sia? Che c’è sempre una montagna più alta se si guarda all’orizzonte. Però la gente ha sempre la risposta giusta e vuoi o non vuoi chi parla troppo ha sempre e comunque ragione. Non trovi? Ed io non sono mai stato bravo con le parole. Forse perché da piccolo mio padre mi ha insegnato che una parola è poca e due sono troppe. Forse perché sono cresciuto abituato ad ascoltare. Forse perché davvero non so quello che dico quando ti dico che non lavoriamo per i soldi ma per quello che i soldi ci permettono di fare. Se lavoriamo solo per i soldi lavoriamo per niente, e perciò poi siamo depressi, e perciò poi ci spariamo in testa. Vuoi quel giocattolo? Cosa bisogna fare per averlo? Sedurre la commessa? Arrivare ad avere dieci soldi? Semplicemente chiederlo sperando in una grazia? Abbiamo più di una opzione! Come vedi possiamo tentare la prima; fare la corte alla commessa, portarla a cena, invitarla a casa per un drink… e poi chiederle se ci da quel giocattolo. Oppure possiamo semplicemente entrare nel negozio e chiedere. Chissà, magari funziona. Oppure, come “normalmente” si fa, si arriva ad avere quei dieci soldi. Come? Col lavoro. E per quale motivo allora quel lavoro dovrebbe stressarci se in testa già sappiamo che quelle ore della nostra vita, che nessuno ci ridarà più indietro, ci stanno permettendo di arrivare ogni giorno più vicino a quello che vogliamo, a quel giocattolo?

Ora, che quel giocattolo non valga tutte quelle ore della nostra vita, non so. Quelle sono scelte personali e sono fatti tuoi. Se scegliamo giocattoli dal piacere finto non è colpa mia. Ma resta pur sempre il fatto che non stiamo pagando, in realtà, coi soldi ma col tempo della nostra vita. Capisci cosa intendo? Quello voglio dire quando dico che i soldi non servono. Puoi avere tutti quelli che vuoi ma se non sai come utilizzarli, o se li utilizzi nella direzione sbagliata, (per giocattoli sbagliati), tutte quelle ore della tua vita spese a farli diventano ore di vita buttate. Ne vale la pena? Rischiamo il cancro per lavorare in fabbriche di prodotti chimici e tossici per diciotto ore al giorno al fine di sperare di avere abbastanza soldi per poterci permettere la macchina figa da mostrare agli amici. Non possiamo poi lamentarci, dopo. Così come non possiamo lamentarci, invidiando, chi invece decide di passare quel tempo su di una spiaggia a camminare mano nella mano con la propria metà, o in città a passeggio a parlare da solo e a bere. Ma che diritto abbiamo? 

I soldi o la vita, mi chiedi? Tieni, prendi il portafogli!


Alle volte dimentichiamo che le persone che incontriamo potrebbero trovarsi in diversi capitoli della loro vita in quel momento. Diversi capitoli rispetto ai nostri, diversi capitoli rispetto agli altri. Vediamo qualcuno a terra e assumiamo che quella persona sia così; debole e senza voglia di rialzarsi. Vediamo qualcuno ricco e spocchioso e crediamo che ricco e spocchioso quella persona ci sia nata. Vediamo qualcuno in difficoltà e in cerca di aiuto e pensiamo che quella persona voglia approfittarsi della bontà degli altri, della bontà degli altri per chiedere senza dare nulla in cambio. È normale. Proiettiamo sugli altri il risultato delle nostre esperienze passate. Il cervello fa due più due e presume la somma faccia quattro… ma non sempre è così. Ci pensavo ieri mentre cercando di cambiare il corso della giornata da negativo a positivo qualcuno ha presunto che per me fosse facile perché sono fortunato. Che per me fosse facile perché le cose mi vengono da sole. Che per me fosse facile perché posso. 

Certo, sono fortunato. Certo, le cose mi vengono da sole. Certo, che posso. Ma non perché la fortuna, o le cose che mi vengono da sole, o il potere, decidono di venire a me da un giorno all’altro. Lo faccio sembrare facile ma non lo è. Lo faccio sembrare facile ma per farlo ho due lavori e dormo cinque ore a notte. Lo faccio sembrare facile ma per farlo mi sveglio alle 4.30 da quando sono nato. Lo faccio sembrare facile ma sono lontano da casa da quindici anni. Lo faccio sembrare facile ma non festeggio il mio compleanno coi miei genitori da un decennio. Lo faccio sembrare facile ma non ricordo l’ultima volta che ho abbracciato mia madre. Lo faccio sembrare facile ma non festeggio la notte coi porci se al mattino voglio volare con le aquile. Lo faccio sembrare facile, eppure se festeggio la notte, al mattino mi alzo e non piango. Lo faccio sembrare facile ma ogni giorno faccio più di quel che devo. Lo faccio sembrare facile ma se c’è da finire un lavoro non mi fermo finché non è fatto. Lo faccio sembrare facile ma mi alleno due volte al giorno trovando il tempo. Lo faccio sembrare facile ma non mi dimentico che ho una moglie. Lo faccio sembrare facile ma non mi dimentico che ho degli amici. Lo faccio sembrare facile ma non mi dimentico che ho degli hobby. Lo faccio sembrare facile ma non mi dimentico che ho una vita. Lo faccio sembrare facile ma non lo è. Lo faccio sembrare facile ma ora scrivendone e parlandone “ad alta voce” mi viene da sorridere perché in fondo, forse, lo è. Perché in fondo, forse, se mi lamentassi, diventerei come loro… ed io non sono come loro. Per cui sì, hai ragione; Per me è facile perché sono fortunato, per me è facile perché le cose mi vengono da sole, per me è facile perché posso.

E tu? Credi sia facile?

Ancora una volta riapro il diario e trovo il titolo per una pagina bianca: “Un sogno nel pettoChissà che volevo dire, chissà di cosa volevo parlare. L’ultima volta che è successo ricordo di aver provato a riprendere il discorso, o almeno cercato. Questa volta neanche ci proverò. Ho la testa presa da altro, ho i pensieri altrove. Ho i pensieri alla comica ipocrisia del mondo. Ho i pensieri al fatto che ieri ho visto un film sulla grandezza di un paese; sulla sua solidarietà, sui suoi sogni mancati, sulle sue guerre, sulle sue ingiustizie subite e i suoi nemici abbattuti con gloria. Sul suo insegnamento ad aiutare il prossimo, sul suo darsi una mano, sul suo combattere per il proprio vicino. E poi mi ritrovo riportato due volte in un giorno al “comune” da quelli del condominio per il casino dei lavori in corso nel nuovo appartamento. Ed era il primo giorno di lavori, andiamo bene! Hanno addirittura chiamato la polizia perché… mi sembra giusto, chiamiamo la polizia che forse i lavori sono illegali. Peccato che i lavori non lo erano e anzi, abbiamo la certificazione e il permesso che si possono fare dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 18. La comica ipocrisia del mondo. Come hanno fatto loro quando hanno ristrutturato casa appena comprata? Si vede che i loro masti lavoravano di notte, quando tutti dormivano. Devo suggerirlo anche ai miei, è una buona idea! E non so neanche perché stamattina questo pensiero mi da fastidio. Forse perché stamattina mi sono alzato dal lato sbagliato del letto. Forse perché ieri Coral, presa da mille cose, è caduta e si è slogata una caviglia. Forse perché ogni singola persona in questo mondo prova a fotterti. Forse perché parliamo tanto di guerra e di come non farla e poi non sappiamo neanche rispettare una fila per fare il COVID test. Forse perché prima parliamo di aiutare il prossimo e poi acceleriamo al semaforo perché dobbiamo passare prima della nonnina con la nipote. Forse perché prima parliamo di quanto bello è mangiare e poi per guadagnare di più vendiamo prodotti scaduti o andati a male o non disinfettiamo le cucine coi topi dentro. Forse perché sono l’unico stronzo che ha attorno chi paga il 70% di tasse mentre gli altri non pagano e si lamentano pure. Forse perché sono l’unico che sorride quando tiene la porta aperta ad una sconosciuta dietro e poi si deve sentir dire: “potevo farlo da sola.” Forse perché sono l’unico che non si brucia i neuroni col telefonino in mano 24h su 24. Forse perché sono l’unico che ancora fa qualcosa col cervello. Forse perché sono l’unico che ancora scopa col pisello. O forse perché sono proprio l’unico che scopa ancora. Perché come fai ad essere nervoso dal mattino se hai scopato appena sveglio? Io sono nervoso stamattina forse proprio per quello, perché non l’ho fatto. E allora la gente non scopa, è l’unica spiegazione. E allora vedi che aveva ragione Cetto Laqualunque quando diceva: “chiu’ pilu pe tutti”? “Chiu’ pilu e chiu’ pizza pe tutti”, aggiungerei. Citando un mio amico che so che non mi legge. Chiu’ pilu e chiu’ pizza pe tutti


Un sogno nel petto”; chissà che volevo dire. Forse che non ci sono chance nelle scuse e nei lamenti. Se non mi batto, se mollo, come voglio aspettarmi dei cambiamenti? Non c’è fine alla lotta, qualcuno mi ha detto. Un sogno nel petto da realizzare da sveglio… mentre ancora ci ostentiamo a voler dormire.

Caro diario,

non so ancora di cosa voglio parlarti oggi ma so che devo scrivere per riprendere il ritmo e rientrare nel mood. “Da domani si torna a regime”, diceva sempre mio fratello l’ultima domenica delle vacanze. Ecco, quel domani è arrivato. 

Non mi sono svegliato presto oggi o, quantomeno, non mi sono “alzato” presto. Perché mi sono sempre svegliato alle tre… ma poi ho richiuso gli occhi. Poi ancora svegliato alle quattro, alle cinque, alle sei. Fino ad arrivare alle sette quando ho deciso definitivamente di alzarmi. Ovviamente mi sono alzato rincoglionito ed ovviamente non ho iniziato col piede giusto la giornata. Lavando la faccia ho sbattuto l’estremità del dito della mano, e più precisamente la parte dove finisce/comincia l’unghia, contro quel buco nel lavandino da cui fuoriesce l’acqua in caso lo riempi. Porca put***! Ho esclamato. Poi, lavando i denti, due minuti dopo, ho sbattuto (non so come) troppo forte lo spazzolino contro le gengive e ho rivisto le stelle per la seconda volta. Ma porca put***! Ho riesclamato, questa volta quasi nervoso. Poi però, guardandomi allo specchio, con questo pigiama verde da anziano che ho, ho cominciato a ridere solo solo pensando a Fantozzi; Ho prima pensato alla nuvola che lo seguiva. Poi a quando il laccio della scarpa gli si rompe e allora decide di prendere il bus al volo. Poi a quando, nervoso, si lancia sul materasso ma la moglie ha separato i letti e allora finisce a faccia a terra. Ho esattamente ricordato il suono che emette, riesco ancora a sentirlo mentre per qualche secondo è lì, fermo a terra. Quest’ultimo pensiero ha definitivamente cambiato il mio umore, cominciando a farmi ridere e a farmi entrare in una giornata di tutt’altro colore rispetto a quella in cui ero quando mi sono alzato. Tanto basta a volte per cambiarci la vita; Un ricordo, un pensiero. E ricordo di quando una persona mi disse che questo vale sia ad inizio che a fine giornata. Ricordo di quando questa persona mi disse che, in quelle sere in cui il figlio non riesce a prender sonno, gli sussurra sempre di pensare a qualcosa di bello. Al mare ad esempio. E di come il figlio a volte gli risponde: penso a te


Ormai la giornata è più che iniziata. Sono le 8.32, ho fatto colazione e vicino a me mentre scrivo ho la mia tazza di caffè. Sono tornato ieri dalle vacanze. Siamo stati in un antico villaggio immerso tra le montagne e circondato da delle mura in pietra che lo separavano, in passato, dal resto della Cina e dal resto del mondo. A circondarlo, oltre che alle montagne, c’è un fiume che scorre e che genera tre cascate diverse per i tre dislivelli che ha lungo il suo percorso. Ho meditato ogni mattina vicino ad ognuna di quelle cascate. Son tornato fiume anch’io e insieme con l’acqua son tornato all’oceano. Sono tornato all’origine e non mi spiego perché quel senso di nuovo e di vita non mi abbia svegliato stamane. Ma non piange forse anche un bambino appena nasce e lascia il ventre della madre?

Poi però c’è il suo abbraccio. 

Poi però c’è il suo volto. 

Poi però c’è un nuovo percorso in cui sta a noi, ogni volta, decidere se stare bene o no…