Nel marasma quotidiano di suoni, like e condivisioni, è difficile non notare il ritmo frenetico con cui le persone — soprattutto i più giovani — consumano contenuti sui social media. La vista di dita che scivolano senza fine su schermi luminosi è ormai onnipresente: nel caffè, in metro, sui marciapiedi e anche in casa, porca put*%#a! TikTok, Instagram, Facebook… sembrano acchiappare lo sguardo e catturare l’anima in un maelstrom di stimoli effimeri.

Da scrittore e osservatore ubriaco attento di questo fenomeno, mentre dopo una cena a baijiu torno a casa in metro mezzo storto, mi colpisce profondamente vedere quanto tempo e potenziale creativo vengano dissipati in questa corsa frenetica verso il nulla. Questa riflessione, che parte da un senso di preoccupazione piuttosto che di giudizio, fa emergere la domanda: come possiamo, in qualità di narratori, incoraggiare un ritorno al prezioso spazio vuoto, fonte inesauribile di ispirazione e riflessione?

La frenesia digitale che ci circonda non è solo una distrazione, ma anche un ladro di quel tempo di quiete fondamentale per l’elaborazione di idee. É lì, nelle pause dalla costante connettività, che la creatività ha la possibilità di fiorire. Gli spazi vuoti permettono ai pensieri di divagare, alle storie di prendere forma, e alle parole di trovare la loro casa precisa su carta.

La Creatività nell’Otium Moderno

Gli antichi Romani valorizzavano l’otium, concetto che per loro incarnava un tempo di riposo e quiete dedicato alla riflessione e alla crescita intellettuale. Distante dal concetto moderno di pigrizia o di ozio passivo, l’otium era una fase vitale del vivere bene, un’opportunità per nutrire la mente e lo spirito attraverso la filosofia, l’arte e la letteratura.

Oggi, in un’epoca caratterizzata da una connettività incessante, la pratica dell’otium sembra non solo obsoleta ma quasi inconcepibile. Abbiamo accesso a infinite risorse informative e ricreative eppure sovente ci ritroviamo a naufragare nella superficialità dei contenuti che fruiamo. Questi “cittadini per bene” moderni raramente si concedono il lusso di un vero riposo mentale, di quei momenti di solitudine creativa durante i quali si possono ascoltare i propri pensieri senza interruzioni.

Eppure, vi è la possibilità di riscoprire l’otium nel contesto contemporaneo. L’otium moderno può tradursi in pratiche deliberate di disconnessione: ritagliarsi delle oasi di tempo per riflettere, scrivere, leggere o persino meditare, lontani dal clamore e dalle distrazioni del mondo digitale.

Questi periodi di quiete consentono una connessione più autentica e profonda con le proprie parole, con la propria arte. Ci permettono di ascoltare le silenziose voci della creatività che sono soffocate dal costante brusio delle notifiche e degli aggiornamenti di stato. È nel silenzio che il potenziale creativo può pienamente manifestarsi, dove un’idea può maturare in un’opera letteraria, dove una semplice frase può trasformarsi in un potente concetto letterario.

Immaginate di avere lo spazio per lasciar danzare i pensieri senza vincoli, per costruire mondi immersi in quell’atmosfera sospesa che solo la tranquillità può offrire. Ponderate su quanto sarebbero più ricche e complesse le nostre storie, colorate di sfumature introspettive piuttosto che di rapidi scambi di battute e di azioni frenetiche. Rinverdire l’otium nell’era digitale implica un ritorno graduale ma determinato verso il valore dell’introspezione e della contemplazione.

Quando uno scrittore si impegna nell’otium moderno, non sta semplicemente “facendo nulla”. Sta procedendo nella più nobile delle avventure umane: l’esplorazione dell’interiorità. Qui, lontano dallo schermo, abbiamo la libertà di esplorare il nostro lato più umano, di far risuonare nel cuore delle nostre opere quelle verità intrinseche che parlano a uno spirito universale.

Noi, come narratori dell’era contemporanea, abbiamo la responsabilità di dimostrare che il valore dell’otium non è perduto. Anzi, è cruciale incoraggiare noi stessi e i lettori a rivendicare queste pause creative nel nostro vortice quotidiano. Dobbiamo imparare, e successivamente insegnare, come trovare rifugio nella profondità che ogni mente possiede, ma che troppo spesso viene dimenticata amid l’incessante urgenza del digitale.

Riscoprire l’otium nell’era dei social media non è solo un atto nostalgico, è una ribellione pacifica contro lo status quo della produttività ininterrotta e del consumo superficiale. È un invito a rallentare, a riconnettersi con le profondità personali che possono trascinarci in acque letterarie inesplorate e meravigliosamente ricche.

In Cina, poi, ricordo e adesso voglio condividerlo con voi, una volta un barbone mi ha detto: “Essere fermi e non farmi niente, sono due cose differenti.” Lo sapeva già, lui…

Oltre il Carosello Digitale: Una Narrativa di Pausa e Profondità

Invito dunque i miei colleghi scrittori (o chiunque si sia trovato a passare su questa sezione del mio blog) a considerare l’importanza degli spazi vuoti non solo per la propria arte, ma anche come baluardo contro la superficialità che minaccia il nostro pubblico. Questa riflessione si estende a un arcipelago di pensieri tralasciati nell’era di Internet: la significatività, l’approfondimento, l’investimento emotivo. Va oltre il dilemma di catturare l’attenzione del lettore; è una questione di nutrire la mente del pubblico con qualcosa di più sostanziale e duraturo rispetto alla breve euforia di un video virale.

Narrare significa offrire un viaggio, non una sosta fugace. E ogni viaggio degno di questo nome inizia con un momento di riposo e di raccolta interiore. È nei recapiti silenziosi dell’anima che prendono forma le storie che resistono ai cenni assordanti della moda e del momento. Quando un lettore si imbatte in un romanzo, un racconto o una poesia che trascende il tempo, è perché lo scrittore ha fatto affidamento su una narrativa carica di spazio e tempo per respirare, riflettere, e connettersi. È lì che il lettore trova un vero rifugio, un porto sicuro nel quale il sovraccarico sensoriale del mondo moderno si stempera in mare aperto.

La narrativa di pausa e profondità si arricchisce attraverso esplorazioni lente e deliberate del carattere umano e delle sue circostanze. Attraverso trame ponderate e dialoghi autentici, creiamo mondi che invitano i lettori non solo a immergersi nelle nostre parole, ma anche a rilassarsi e contemplare. Un tale approccio al racconto è come l’edificazione di un giardino all’inglese in opposizione al cemento bruto delle realtà urbane: offre varietà, serenità e occasione di introspezione.

Come scrittori nel flusso incessante del digitale, abbiamo il compito di tessere una tappezzeria letteraria che contrasti la tendenza all’immediatezza. Dalle prime frasi, il nostro lavoro deve avvolgere delicatamente il lettore, trascinandolo fuori dal suo scrolling frenetico e immergendolo in acque più profonde calcate di simbolismo, metafore e sottotesto. Questo richiede coraggio e abilità, perché nel mondo del “sempre connesso” richiede una sorta di ribellione artistica scegliere il sentiero meno battuto dell’attenzione prolungata e della riflessione.

Allora, definiamo ciò che vogliamo per il futuro della letteratura e sottomettiamo a ciò le nostre abitudini quotidiane. Incoraggiamo i lettori ad aspettarsi di più dal testo di una storia, a trovare nel ritmo e nella risonanza delle parole qualcosa di assimilabile agli spazi tranquilli, ai silenzi colmi di significato, a quei sostrati ricchi di sfumature che solo la narrativa può offrire.

La sfida è ovvia, ma l’invito è entusiasmante. Costruiamo insieme storie che necessitano di una sosta nella corsa, che rendono il tempo di lettura una vera e propria scelta di qualità, di ritorno al pensiero riflessivo e al silenzio creativo. Dopotutto, non facciamo altro che seguire l’esempio degli antichi, riscoprendo l’otium moderno e reclamando la profondità della letteratura in una società che troppo spesso si accontenta della superficie. Dopotutto, non facciamo altro che parlare dei grandi che hanno fatto la rivoluzione… beh, questo é tempo di fare la nostra. Affanc%*# ai video!

Era da un po’ che non riprendevo questo computer nero alla domenica, era da un po’ che non mi sedevo a questo tavolo a scrivere. È da quando è uscito il mio nuovo libro forse, che, decidendo di concentrarmi di più sulla promozione, ho “trascurato” la scrittura. Trascurato. Non userei questa parola però. Come si fa a trascurare qualcosa che appartiene a noi nel profondo, come si fa a trascurare qualcosa che –è noi? Non l’ho trascurata. Tutt’altro anzi; l’ho fatta ricaricare, gli ho dato una vacanza. Sì, proprio così, gli ho dato una vacanza. -Non ho scritto- di proposito. E non soltanto per via della promozione di Uno (Sporco) Diario Aperto ma anche perché non volevo più scrivere e aspettare, invece, per farlo, che mi fossi trasferito nella nuova casa. Sentivo, infatti, che il luogo in cui sono ora mi ha già dato tutto quello che doveva. La sua energia si è esaurita, il suo compito è finito. In questa casa è nato il blog, in questa casa è nato il diario, giorno per giorno insieme a voi. In questa casa si sono sviluppati i miei social, il mio rapporto coi followers. In questa casa è nato l’inizio per un futuro nuovo libro. In questa casa ci sono state risa e pianti, gioie e dolori, bottiglie piene, bottiglie vuote e bottiglie rotte. Ma ho bisogno di qualcosa di nuovo prima di ricominciare a scrivere, ho bisogno di vibrazioni nuove da mettere nei miei lavori, nei miei scritti, nei miei libri ed è per questo che ho lasciato il tutto; così che il tutto si ricaricasse. Perché può non sembrare ma scrivere non è facile. Perché può non sembrare ma scrivere non è solo avere un computer e battere due dita sulla tastiera. Non è solo unire qualche letterina, qualche parola e dire ciò che si ha in testa. Non è solo parlare. Scrivere è viaggiare. Scrivere è viaggiare dentro di sé e osservare, sentire, toccare, annusare tutto ciò che si trova lungo la strada. Il bello e il brutto, il puzzolente e il profumato, il male e il bene. Assorbire tutto e poi capirlo. Assorbire tutto e poi dargli forma. Assorbire tutto e poi tradurlo. Assorbire tutto e poi scriverlo. Assorbire tutto, mettersi in gioco, confrontarsi con chi si ha di fronte e poi riassorbire ancora. Un viaggio. E quanto stanchi siamo dopo un viaggio da Milano a Napoli in macchina ad agosto? Quanto stanchi siamo dopo un viaggio d’estate in treno dal nordest della Cina all’Ovest? Con la gente ammassata. Col caldo, con la pioggia, col freddo. Non capendo chi ti è intorno…

Lo stesso vale per l’arte.

Lo stesso vale per la scrittura.