Ciao Paolo,

Non so nemmeno da dove cominciare questo messaggio. Probabilmente non ti ricorderai di me, ma io invece mi ricordo benissimo di te e di quando ci siamo incrociati anni fa al Politecnico. Ero una ragazzina delle medie in gita con la mia scuola per un open day sull’orientamento universitario. Mi ero completamente persa in quel campus enorme e stavo disperatamente cercando il bagno. Tu eri uno studente e quando ti ho fermato per chiedere indicazioni, con un sorriso stupendo (ed una birra in mano ahahaha) mi hai gentilmente accompagnata. Ero troppo timida per parlare o solo guardarti in faccia, ma ricordo di essere arrossita come una piccola scema! Non so se per l’imbarazzo di disturbarti o perché, molto banalmente, mi eri piaciuto. Tu però non ti sei minimamente accorto dei miei imbarazzi da ragazzina e ti sei limitato ad aiutarmi con gentilezza.

Insomma, quella doveva essere una giornata importante per il mio futuro, ma alla fine l’unica cosa che mi è rimasta impressa è stato l’incontro con te. Non avrei mai immaginato che anni dopo ci saremmo “rincontrati” in un certo senso.

Sono finita a studiare Architettura qui al Politecnico, anche se all’inizio non avevo le idee chiare. E un giorno, navigando su Amazon, mi è uscita la pubblicità del tuo libro. Ho cliccato per pura curiosità e boom! C’eri tu con quella faccia pulita e quell’aria dolce che ricordavo bene. Ti ho subito cercato sui social, ho comprato il tuo libro e sono letteralmente impazzita per le tue parole, la tua sensibilità.

Ho esitato un sacco prima di decidere di scriverti, non so nemmeno se tu ti ricorderai quell’episodio idiota. Ma per me aveva significato tanto incontrare una persona come te al tempo. E volevo dirtelo. Chissà, magari un giorno se capiti per Milano possiamo rivederci e fare una chiacchierata, faccia a faccia stavolta. Mi piacerebbe presentarti la nuova me, ormai un po’ più sicura di me stessa e non più quella ragazzina timidissima, anche se in fondo…con te probabilmente lo sarei ancora!

Spero che tu stia bene. Spero che tu sia felice.

Un abbraccio fortissimo.

XXX


Come potevo non condividere un così bel messaggio?

#howimetyourmother

Lo scrittore italiano Paolo Cuciniello ci conduce in un viaggio trascendentale con il suo romanzo “Cammina Insieme a Me Camminiamo Insieme“. Questo gioiello della narrativa contemporanea esplora le misteriose connessioni tra gli individui, sfidando i confini tra realtà e sogno.

Diviso in due parti, il romanzo segue le vite di Paolo e Paola, due personaggi appartenenti a mondi e tempi diversi, eppure inestricabilmente legati. Cuciniello manipola abilmente lo spazio e il tempo, permettendo ai protagonisti di incontrarsi nei sogni e nella realtà stessa, spezzando i confini che dividono i loro mondi.

Cammina Insieme a Me Camminiamo Insieme” è un viaggio, per i protagonisti e per il lettore stesso. Un viaggio esteriore che ci porta dall’Italia alla Toscana, dall’Asia all’America, ma soprattutto un viaggio interiore che ci pone di fronte alla domanda fondamentale: “Per cosa vivo realmente?”. Le numerose persone che incontriamo lungo il cammino sono tutte connesse in modi misteriosi, sfidando la nostra comprensione delle coincidenze e del destino.

Cuciniello intreccia abilmente elementi di realtà e sogno, destino e poesia della vita quotidiana, creando una trama avvincente che celebra la profonda interconnessione tra gli esseri umani e l’universo stesso. La sua prosa poetica ci guida in un percorso interiore di scoperta e realizzazione, rivelando il potere trasformativo delle connessioni umane.

Per chi cerca una lettura che vada oltre il semplice intrattenimento, “Cammina Insieme a Me Camminiamo Insieme” offre un’opportunità unica di immergersi in un viaggio trascendentale e di esplorare le profondità dell’interconnessione umana e del significato delle nostre esperienze. Un romanzo imperdibile per gli amanti della narrativa che sfida i confini tradizionali e celebra la poesia della vita in un mondo in cui le energie si creano e muovono il mondo stesso.

Scopri di più su Amazon: [ https://www.amazon.it/Cammina-Insieme-Me-Camminiamo-sincontrano/dp/B0CXT7B37Z ]


Biografia di Paolo Cuciniello

Paolo Cuciniello, autore autoprodotto di fama internazionale e poliedrico professionista, è un broker, ingegnere e CTO nel settore high-tech. Le sue opere, apprezzate in tutto il mondo, sfidano i confini tra realtà e immaginazione, ottenendo un particolare seguito nel mercato asiatico. Attivo online e impegnato in ambito educativo e culturale, condivide la sua visione innovativa tra l’Italia e la Cina. “Cammina insieme a me Camminiamo insieme” invita i lettori di diverse culture in un viaggio esplorativo sull’esistenza umana.

Ricordi quando eri bambino? Quando le cose le facevi, semplicemente. Quando non pensavi mai a, “Quali sono i relativi vantaggi di imparare il calcio rispetto al tennis?” Semplicemente correvi intorno al campetto e giocavi a calcio e tennis. E qualche volta, qualcuno, ha pure mischiato le due cose e creato il calcio-tennis. Pensa! Costruivi castelli di sabbia, giocavi a rincorrersi, facevi domande stupide e cercavi insetti e catturavi farfalle o scavavi buche.

Nessuno ti diceva di farlo, lo facevi semplicemente. Eri guidato solo dalla tua curiosità e dal tuo entusiasmo. 

E la cosa bella era che se odiavi il calcio, smettevi semplicemente di giocarci. Non c’era coinvolto nessun senso di colpa. Non c’era discussione o dibattito. Ti piaceva o non ti piaceva.

E se adoravi cercare insetti, facevi semplicemente quello. Non c’era un’analisi di secondo livello del tipo, “Beh, cercare insetti è davvero ciò che dovrei fare con il mio tempo da bambino? Nessun altro vuole cercare insetti, significa che c’è qualcosa che non va in me? Come influirà cercare insetti sul mio futuro?”

Non c’erano tutte ste “pippe mentali”. Se ti piaceva qualcosa, la facevi. Punto.

“COME TROVO LA MIA PASSIONE?”

Di recente ho ricevuto un messaggio (e non è la prima volta) da una persona che mi diceva di non sapere cosa fare della sua vita. E, come tutte le altre, questa persona mi ha chiesto se avevo qualche idea su cosa potesse fare, da dove iniziare, dove “trovare la sua passione”. 

Ma come rispondo a una domanda del genere? Come rispondo sinceramente a una domanda di questo tipo se NON NE HO LA MINIMA IDEA. Se non hai idea (tu) di cosa fare della tua vita, cosa ti fa pensare che qualcuno che scrive libri e che beve baijiu nei peggiori bar dell’Asia lo possa sapere? Sono uno scrittore, non ancora un indovino.

Ma ancora più importante, quello che voglio dire a queste persone è questo: è proprio quello il punto, “non sapere”. La vita è tutta basata sul non sapere e poi fare qualcosa comunque. Tutto nella vita è così. Tutto. E non sarà più semplice solo perché hai scoperto che ami il tuo lavoro di giardiniere o hai ottenuto un lavoro da sogno come giornalista sportivo, o portaborse di un miliardario, o lustra scarpe di Ronaldo.

Tutti a scrivere libri e a fare film centrati su: “trovare la propria passione”

Che du’ cogl#%ni! Quanto ci vuole ancora per capire che la propria passione l’abbiamo trovata già? Lo sappiamo già cosa ci piace, lo sappiamo già cosa ci fa stare bene. Lo stiamo solo ignorando. Perché davvero, siamo svegli 16 ore al giorno, cosa facciamo col nostro tempo? Facciamo qualcosa, ovviamente. Stiamo parlando di qualcosa. C’è un argomento o un’attività o un’idea che domina una parte significativa del nostro tempo libero, delle nostre conversazioni, delle nostre navigazioni online, e lo domina senza che lo cerchiamo consapevolmente.

La nostra passione è lì, di fronte a noi, la stiamo solo evitando. Per qualche motivo, la stai evitando. Ti stai dicendo, “Beh, sì, amo i videogiochi ma questo non conta. Non si può guadagnare con i videogiochi.”

Ma che ne sai? Ci hai almeno provato?

Il problema non è la mancanza di passione per qualcosa. Il problema è la produttività. Il problema è la percezione. Il problema è l’accettazione.

Il problema è il “Oh, beh, questa semplicemente non è un’opzione realistica,” o “I miei genitori mi ucciderebbero se provassi a farlo, dicono che dovrei fare l’avvocato,” o “È folle, non puoi comprarti una casa con i soldi che guadagni facendo questo.”

Il problema non è la passione. Non è mai la passione. Sono le priorità.

E anche, allora, chi dice che devi guadagnare facendo ciò che ami? Da quando tutti si sentono autorizzati ad amare ogni singolo secondo del loro lavoro? Davvero, cosa c’è di così sbagliato nel lavorare in un impiego normale con colleghi simpatici che ti piacciono e poi perseguire la tua passione nel tempo libero?

Ma che poi, posso confidartelo un segreto?

Ogni lavoro fa schifo a volte.

Shhh!

Non esiste un’attività appassionante di cui non ti stancherai mai, su cui non ti stresserai mai, su cui non ti lamenterai mai. Non esiste. Sto facendo il lavoro dei miei sogni (non mi piace chiamarlo lavoro, ma è per rendere l’idea), e odio ancora più o meno circa il 30% di esso. In alcuni giorni anche di più. Perché sai quanto mi pesa fare ste cavolo di foto e di storie su Instagram per l’algoritmo? E fai la foto al piatto cinese, e fai la foto alla città, e postala a quest’ora, e non postarla al sabato. Davvero, non hai idea di quanto lo odi.

Ma lo faccio.

Perché di nuovo, questa è solo la vita. La questione qui è, ancora una volta, le aspettative. Se pensi di dover lavorare settimane da 70 ore e dormire in ufficio amando ogni secondo di esso, hai visto troppi film americani o letto troppe biografie. Se pensi di doverti svegliare ogni singolo giorno ballando in pigiama mentre tua moglie ti prepara la colazione nuda o tuo marito tutto sorridente ti abbraccia e ti bacia dicendoti che ti ama, mentre ti fa un regalo diverso ogni volta, allora qua chi breve troppo baijiu sei tu! Perché la vita non funziona così.

LA TUA PASSIONE È GIÀ DAVANTI A TE

Ho un amica che, negli ultimi anni, ha cercato di andare avanti lavorando in un locale ogni notte con la speranza di mettere abbastanza soldi da parte per il futuro (così da poter avere abbastanza tempo per trovare la sua passione). Nonostante gli anni di lavoro, però, questo futuro sembra non arrivare mai. E ci sta male. Fisicamente. E mentalmente.

Le cose cambiano, poi, ogni volta che qualcuno le chiede di restaurare qualcosa di vecchio e usato, corroso dagli anni del tempo. Porca miseria, si getta a capofitto come una bambina dietro a un carretto dei gelati. E che lavoro che fa! Rimane sveglia fino alle quattro del mattino perdendosi a lavorare su ogni pezzo e amando ogni secondo.

Ma due giorni dopo è di nuovo, “Paolo, non so proprio cosa dovrei fare.”

Amore mio… quanto vorrei poterti comprare il mondo e darti tutto ciò che desideri, coi. E perdonami se sono duro scrivendoti così in questo blog. Lo sai che é la rabbia di un padre a parlare.

E incontro tante persone come lei. Che non hanno bisogno di trovare la propria passione perché la propria passione li ha già trovati. La stanno solo ignorando. Si rifiutano di credere che sia fattibile. Hanno solo paura di provarci sul serio.

È come un ragazzino timido che entra in un parco giochi e dice: “Beh, i videogiochi sono davvero fighi, ma i calciatori della Serie A guadagnano di più, quindi dovrei forzarmi a giocare a calcio ogni giorno,” e poi torna a casa e si lamenta che non gli piace la ricreazione e il tempo libero.

E questa è una fregatura. Perché a tutti piace la ricreazione. A tutti piace il tempo libero. Il problema è che arbitrariamente scegliamo di limitarci basandoci su alcune idee sbagliate che ci sono entrate in testa sul successo e su cosa dovremmo fare.

Un esempio carino, chiaro, forse, è anche quando mi chiedono consigli su come diventare scrittori.

La risposta é che davvero non sempre lo so.

Da bambino, scrivevo poesie su tovaglioli che poi regalavo a mio padre a colazione. Da adolescente, scrivevo temi che la maestra prendeva e condivideva con le altre insegnanti e le altre classi. Crescendo scrivevo testi rap. Crescendo un po’ in più, e capendo che non sapevo cantare, ho ripreso a scrivere poesie. Poi racconti. Poi libri.

Non ho mai considerato la scrittura come una potenziale carriera. Non l’ho nemmeno considerata un hobby o una passione. Per me, le cose su cui scrivevo erano la mia passione (che poi erano e sono la mia vita): amore, odio, rabbia, strada, dolori, amici persi, fidanzatine, sesso, droghe, viaggi, anime perse, anime ritrovate, alcolismo, riscatto, soldi, soldi persi, soldi riguadagnati, case abbandonate, overdosi, amanti, amanti che mi amano, amanti che solo vogliono cinquecento euro ogni due ore, locali aperti, locali chiusi, risse, commissariati, tirapugni, armi nascoste, motorini rubati, schiaffi presi, schiaffi dati, aziende aperte, università, lauree, scelte manageriali, riunioni, contratti, eventi, un matrimonio. Scrivere era solo qualcosa che facevo perché mi andava. E alla scrittura andavo io.

E quando ho dovuto cercare una carriera di cui potermi innamorare, non ho dovuto guardare lontano. In realtà, non ho dovuto guardare affatto. Mi ha scelto, appunto, in un certo senso. Era già lì. Già qualcosa che facevo ogni giorno, fin da bambino, senza nemmeno pensarci.

Perché ecco un altro punto che potrebbe far storcere il naso ad alcune persone: se devi cercare ciò di cui sei appassionato, probabilmente non ne sei affatto appassionato.

Se sei appassionato di qualcosa, quel qualcosa avrà già l’aspetto di una parte così radicata della tua vita che dovrai essere ricordato dalle persone che non è normale, che altre persone non sono così.

Un bambino non entra in un parco giochi e si chiede: “Come posso trovare il divertimento?” Va semplicemente e si diverte.

Se devi cercare ciò che ti piace nella vita, allora non godrai di nulla. E la verità è che già ti piacciono delle cose. Già ti piacciono molte cose. Stai solo scegliendo di ignorarle.

“Non ti piace la scuola? Se non studi ti mando a lavorare!”

L’avete mai sentita questa espressione? L’hanno mai usata con te i tuoi genitori? L’hai mai usata con i tuoi figli? È un’espressione che avevo dimenticato. Un’espressione che, chissà perché, si era nascosta da qualche parte in fondo nel mio cervello. Nei meandri della mia piccola memoria. Non che i miei genitori l’abbiano mai usata con me, no, ma ho avuto tanti amici a cui i genitori gliela ripetevano in continuazione. “Non ti piace la scuola? Se non studi ti mando a lavorare!”

L’ho risentita di recente in un incontro genitori-figli-insegnanti in una scuola in cui sono stato invitato per raccontare la mia storia e per raccontare come, lo studio nella mia vita, mi abbia permesso di raggiungere la posizione in cui sono adesso. Poco sapevano, però, quegli insegnanti e genitori quando mi hanno invitato che, in realtà, non la penso proprio come la pensano loro. “Sì, lo studio sui libri di certo mi ha permesso di raggiungere la posizione in cui sono adesso. Di certo mi ha dato tre lauree e di certo è grazie a quello studio se sono diventato manager molto giovane e se ho aperto un azienda high-tech e ne sono diventato il CTO. Di certo è anche grazie allo studio se ho conoscenze sulla luce biologica benefica per l’uomo (la mia azienda si occupa infatti di tecnologie di luce circadiana), e di certo è grazie anche allo studio se sono arrivato in Cina nel modo in cui ci sono arrivato (sono stato infatti portato qui da una doppia laurea tra il Politecnico di Milano e l’università aerospaziale di Pechino). Ma non è di certo solo grazie allo studio se sono chi sono.

Ho iniziato più o meno così il mio discorso. Poi continuato.

“Crescendo, ho imparato che le istituzioni danno troppa importanza ai test. Ho imparato che i genitori danno troppa importanza ai test. Ho imparato che sempre più professori danno troppa importanza ai test. Ho imparato che, poi, con tutta questa attenzione e importanza che si dà ai test, si finisce col lasciare soli gli studenti. Si finisce col creare un futuro uguale al passato, con burattini e robot che non sanno prendere decisioni e che faranno gli stessi errori che sono stati fatti da chi c’era prima. Tutti uguali.

Ma non solo questo.

Si finisce col dare pressioni agli studenti che si trovano in un età che già di per sé gliene dà. In una età così sensibile, così capace di sentire, così capace di vedere ogni sfumatura del mondo e ogni sfumature di ciò che li circonda. Si finisce col veder ragazzi lanciarsi da un ventesimo piano solo perché non passano un test!

Ora voglio aprire una piccola parentesi perché credo sia importante al fine di capire quello che ho appena detto. Di solito non seguo né la cronaca né tanto meno le notizie generali. Se so certe cose, infatti, è perché le vedo e le ho viste. Ero infatti fuori alla mensa dell’università, quando, dall’atrio dell’edificio principale della scuola accanto, ho sentito un tonfo. E, prima ancora di andare a vedere cosa fosse, chissà perché, già lo sapevo. Le cose, quando cadono, emettono un suono diverso rispetto alle persone.

Da quel tonfo avevo già capito di cosa si trattava. E non so in Italia come funziona adesso, vivo in Asia ormai da quasi dieci anni. Ma qui il sistema scolastico è molto severo, molto rigido. C’è un esame nella carriera da studente dei giovani che gli determina l’intero futuro. A seconda del punteggio che prendono a quell’esame possono andare o meno all’università, possono fare o meno un determinato tipo di lavoro, possono andare o meno in una determinata città. Ma non solo questo. Intorno a quell’esame, infatti, si crea un mostro nella testa dei ragazzi. Perché i genitori continuano a ripetergli che devono superarlo per cambiare il futuro della famiglia. Perché i maestri gli ripetono che devono superarlo per fare i soldi da grandi. Perché in questa società non si può perdere, si può solo vincere. Ed è così che succede quello che succede. Risultato di ragazzi rotti. Abituati solo a vincere, quando si perde, poi, si salta. Ci si taglia. Ci si strangola. Esistono medicine adesso, anche. Le si prendono.

Ma voglio chiudere questa parentesi, adesso. Magari in un altro blog ne riparliamo.

“Perciò, credo sì che i test siano importanti. Credo sì che i vostri genitori abbiano ragione e che dovete starli a sentire. Credo sì che i professori vadano rispettati ed ascoltati perché non stanno lì a perdere tempo. Credo sì, tutto questo. Ma credo anche che, quanto è bello non passare un test? Quanto è bello prendere un due, un impreparato ad un interrogazione? Quanto è bello scappare di casa con la fidanzata? Farsi consolare per quel due, consolarla se ha preso una nota. Quanto è bello perdere? Quanto è bello cadere? Quanto è bello rialzarsi, e fare il callo, ed imparare, che, in questa vita si cade. E lasciarsi andare. E non dargli peso. Perché va bene così.

Lo studio, sì, di certo mi ha aiutato e permesso di raggiungere la posizione in cui sono adesso ma non è stata l’unica cosa. Take two educations, diceva un film. One from the school, one from the street. Prendi due educazioni, due diplomi. Una dalla scuola, una dalla strada. Dalla vita…

È a questo punto, più o meno, che qualcuno ha detto: “se mio figlio non va bene a scuola, lo mando a lavorare!” Ed è a questo punto, più o meno, che quell’espressione, nascosta da qualche parte in fondo nel mio cervello, nei meandri della mia piccola memoria, è tornata.

“Se non ti piace la scuola, se non vai bene a scuola, se non vai a scuola, ti mando a lavorare!” Ma quanto è brutta questa espressione? Ma quanto bene può fare un espressione del genere a degli adolescenti? Ma che risultato mai può avere? Davvero non lo capiamo che, dicendo così, l’unico risultato che otteniamo è far credere al ragazzo, o alla ragazza, che il lavoro è qualcosa di negativo, una punizione? Ma davvero non lo capiamo che dicendo così l’unico risultato che otteniamo è un futuro di persone annoiate e tristi che fanno quello che fanno solo perché devono? Morti vivi. Morti in piedi. Quanti ne vedo in metropolitana al mattino? Quanti ne ho visti a Milano? Quanti a Roma? Quanti ne ho visti a New York? Quanti ne ho visti a Pechino, a Tokyo, a Singapore, a Bangkok, a Washington, a Barcellona, a Casalpusterlengo. Quanti?


“Non ti piace la scuola? E cosa vorresti fare?”

“Il giocatore di basket professionista.”

“Sì? Ti piace il basket?”

“Sì.”

“E perché non me lo hai mai detto prima?”

“Non so perché non te l’ho detto. Credevo lo avessi capito.”

“E infatti avrei dovuto capirlo. È vero. Non ho prestato abbastanza attenzione. Mi dispiace. Allora facciamo così. Domani andiamo a vedere una scuola di Basket. Ci iscriviamo e cominci gli allenamenti. Nel frattempo, però, finisci l’anno e poi a settembre prendiamo una decisione. Cosa ne dici? Perché tu forse non lo sai ancora ma, tante scuole danno borse di studio agli sportivi. Praticamente ti pagano per entrare nella loro squadra di basket. È così che hanno cominciato tanti grandi giocatori dell’NBA, sai?”


Ma è così difficile parlare con i propri figli? Ma è così difficile imparare ad ascoltarli piuttosto che a dirgli: “Non ti piace la scuola? Se non studi ti mando a lavorare!”?

In questo spazio di riflessione personale, vorrei aprirmi su un viaggio che va oltre le semplici parole su carta, un percorso emotivo e creativo che mi ha accompagnato in modo silenzioso, eppure profondamente significativo. Si tratta del mio ultimo progetto letterario, un’opera che per molti versi considero non solo come una creazione, ma come un figlio cresciuto all’ombra della mia esistenza quotidiana.

La genesi di questo libro ha radici profonde, alcune delle sue parti sono nate persino prima della pandemia che ha segnato l’epoca di “In Quarantena“. Questo libro si è evoluto nel tempo, in un limbo tra il mondo tangibile e gli spazi sconfinati della mente e dell’anima. Ogni pagina, ogni parola, ha rappresentato un pezzetto di cuore, pensieri fossilizzati nel tempo che temevo potessero aver perso il loro eco nel mondo esterno.

Questo libro era, per me, quel figlio troppo cresciuto che implorava di spiccare il volo, di esplorare terre nuove lontano dal nido. Ma come ogni genitore sa, lasciar andare è forse l’atto d’amore più grande e più difficile. Ho protetto quest’opera forse più del necessario, convinto che tenerla nascosta potesse preservarla, o forse preservare me stesso dal giudizio del mondo esterno.

Ho vissuto nell’incertezza che le parole che avevo versato con tanta passione potessero distorcere il riflesso dell’essenza di chi ero, o meglio, di chi sono. Ma, appunto, un riflesso dell’essenza. Non l’essenza stessa. Ed è stato grazie all’incoraggiamento e alla guida di persone a me vicine che ho trovato la forza di superare questi dubbi. Mi hanno aiutato a riconoscere che ogni viaggio descritto, ogni sentimento esposto, rappresenta non solo un’esplorazione dei protagonisti ma invita anche il lettore a un viaggio interiore, intimo e personale. Perché la vita è un viaggio che in realtà non facciamo mai da soli.

Stranamente, per quanto tempo questo libro possa aver trascorso in quel cassetto, aspettando il momento giusto, il suo messaggio non ha perso forza né attualità. Anzi, si è rivelato più potente e necessario di quanto avessi anticipato. Il libro parla di viaggi, sia esteriori che interiori, e di come, nonostante tutto, ci sia sempre spazio per la crescita, la scoperta e l’accettazione.

Presto annuncerò la data esatta della sua pubblicazione, ma per ora, voglio condividere con voi la copertina di questo libro, l’immagine che accompagnerà il suo ingresso nel mondo. Una copertina che racchiude in sé l’essenza del viaggio che ciascun lettore intraprenderà, una metafora visiva del passaggio dal buio alla luce, dalla ristrettezza dello spazio fisico alla vastità dello spazio emotivo e narrativo.

Questo libro è più di un racconto; è un invito a intraprendere un viaggio che spero toccherà le corde più profonde di chi deciderà di accettarlo. È il lascito di un periodo di crescita, di cambiamento, e soprattutto, di liberazione. Una testimonianza del fatto che, non importa quanto tempo un’idea possa rimanere nascosta, il suo potere di resonare con gli altri non svanisce.

Vi invito a rimanere sintonizzati per scoprire insieme la data di lancio e per accompagnarmi in questa nuova avventura che, in un certo senso, appartiene a ognuno di noi. Perché ogni libro, in fondo, è un viaggio, e ogni lettura, una partenza.

L’altro giorno mi sono ritrovato a guardare ancora una volta “Sid e Nancy“, il film del 1986 che narra la tumultuosa e tragica storia d’amore tra Sid Vicious, il bassista dei Sex Pistols, e Nancy Spungen. Mentre seguivo il loro caotico viaggio attraverso la vita, una riflessione mi ha colpito con forza: in un mondo dove la loro ribellione e la ricerca di autenticità erano così esplicite, quale forma prende oggi la nostra ribellione, se c’è?

La loro storia, così estrema, così al limite, mi ha fatto pensare a quanto noi, in questo nostro presente, ci siamo lasciati alle spalle. Non tanto le mode o lo stile di vita punk, quanto piuttosto l’ideale di cercare qualcosa di diverso, di sentire con intensità, di vivere con passione – anche se con conseguenze distruttive. Hanno vissuto per il momento, mentre noi sembriamo correre continuamente verso un orizzonte di successo e accumulo che non arriviamo mai a toccare.

E mi chiedo, cosa abbiamo guadagnato con tutti questi oggetti che abbiamo accumulato intorno a noi? Queste distrazioni, questi piccoli gadget che dovrebbero semplificarci la vita e invece finiscono per dominarla, questo costante bisogno di possedere l’ultimo modello, l’ultima versione – è tutto questo che ci definisce?

Madre Teresa una volta disse che “il frutto del silenzio è la preghiera, il frutto della preghiera è la fede, il frutto della fede è l’amore, e il frutto dell’amore è l’azione.” Mi domando se nel turbine incessante della nostra quotidianità abbiamo ancora la capacità di fare silenzio, di ascoltare davvero noi stessi e gli altri, di crescere non solo in termini materiali, ma spirituali.

Non voglio idolatrare Sid e Nancy, né romanticizzare la loro autodistruzione, ma la loro storia mi ha servito da monito: un promemoria di quanto è facile perdersi nel caos del materiale e dimenticare di ciò che veramente nutre l’anima. Forse è giunto il momento di riappropiarci del silenzio, di trovare nelle sue pause l’ispirazione per vivere una vita meno oberata di cose e più piena di significati.

La crescita spirituale non è qualcosa che possiamo comprare o collezionare; è qualcosa che si coltiva lentamente, giorno dopo giorno, con pazienza e con la consapevole introspezione che solo il silenzio può darci. E forse, ricercando meno il possesso e più il senso, possiamo scoprire che la vera crescita, quella che conta, è quella che avviene dentro di noi.

Ok, sono qui seduto alla scrivania del mio studio, con a fianco un bicchiere di Macallan dal sapore ricco e intenso e l’aroma avvolgente di un sigaro a fare da sottofondo. Forse sono al quarto bicchiere o forse al quinto, chissà, e mi ritrovo a pensare, a fissare il vuoto, dibattendomi se mettere giù qualche parola o lasciare che il silenzio parli per me. Alla fine, in questo ambiente saturo dall’odore persistente del tabacco, ho deciso di sì. O forse non sono stato io a decidere, forse sono state le parole a scegliere per me, perché ecco che mi trovo a battere queste lettere sulla tastiera del computer al buio, come se fossero una cosa esterna a me, una narrazione che fluisce senza che me ne renda pienamente conto. Sussurro a me stesso ciò che digito, così, se sento il suono della mia voce, so che sta davvero accadendo. Quello che nasce è un flusso di pensieri che si sono fatti avanti, irrompendo nella quiete della notte. So che ora devo scrivere, lasciare che queste riflessioni prendano forma e si trasformino in parole che possano toccare altre vite oltre la mia.

Serate che segnano l’anima: l’evento del 9 dicembre

Paolo Cuciniello, Intervista in Cina. Pechino, 2023.

Sabato 9 dicembre si è aperto un nuovo capitolo della mia esperienza come narratore di storie e di vite. In una sala accogliente, avvolta da un’atmosfera di attesa e ponderata curiosità, ho avuto il privilegio di incontrare menti aperte e cuori pronti all’ascolto. L’evento, curato nei dettagli dall’Accademia B2 e dall’AIILIC, non era solo un appuntamento nel calendario, ma l’opportunità per tessere legami umani e culturali tra la mia terra e quella così lontana e affascinante che è la Cina.

Nel pronunciare il mio nome, Paolo Cuciniello, ho percepito un silenzio carico di aspettativa. Erano tutti intenti a scoprire il percorso che mi ha portato fin lì, in quella stanza colma di visi interessati ai miei testi, alla mia voce, al messaggio che da anni cerco di diffondere attraverso la parola scritta e parlata. Raccontando non solo di carta e inchiostro ma anche dei frammenti di realtà da cui essi scaturiscono – momenti di vita vissuta intensamente, errori, successi, e i cambiamenti radicali che hanno modellato il mio essere.

Mi sono presentato non solo come autore, ma come testimone di un viaggio incredibile, quello della mia esistenza, attraversata da sfide che hanno forgiato il mio carattere e la mia visione del mondo. Ho parlato dei miei libri, certo, ma attraverso di essi ho dischiuso un varco sulle esperienze che li hanno ispirati, su quelle pagine della mia vita che palesemente riecheggiano in ogni riga che scrivo.

E mentre i riflettori illuminavano il palco facendo emergere la mia figura, ho sentito che ogni parola era un ponte gettato tra me e il pubblico, un filo sottile e resistente che collegava il mio passato al loro presente e, forse, al futuro di chi aveva scelto di accompagnarmi in quel viaggio. Le parole divenivano così veicolo di un’emozione condivisa capace di abbattere ogni muro, ogni pregiudizio, ogni distanza.

Con il cuore colmo e la mente chiara, ho intensamente vissuto quell’incontro: uno scambio reciproco dove la mia storia diventava un’esplorazione collettiva di cosa significa, in ultima analisi, essere umani. Era più di una conferenza; era una celebrazione della vita e dei suoi incredibili percorsi, un momento di crescita personale e collettiva che rimarrà per sempre impresso nella mia memoria.

Davanti al pubblico: una storia che rivive

Paolo Cuciniello, Intervista 2023. Beijing, China.

Ogni volta che mi trovo a parlare di fronte a qualcuno, sia esso un giovane studente con gli occhi pieni di curiosità o un adulto con la profondità di chi ha vissuto abbastanza per comprendere ogni sfumatura della vita, provo la sensazione di rinascere. Questi incontri sono per me momenti di pura magia, occasioni uniche dove la mia esperienza personale si trasforma in una fonte di ispirazione per altri. È come assistere alla mia storia che si svolge di nuovo, con tutte le sue turbolenze, davanti agli occhi di chi è disposto ad ascoltare.

Ogni domanda, ogni sguardo che incrocio porta con sé un richiamo alla mia vita, una vita che poteva essere segnata da finezze premature o percorsi oscuri. Mi è stato predetto un futuro breve o trascorso dietro le sbarre – profezie nate da un contesto difficile che avrebbero potuto avverarsi se non avessi deciso di prendere un altro sentiero. Quel ragazzo che subiva lo sguardo di sospetto dentro le aule ora viene richiesto come ospite d’onore. Te lo immagini?

Questo contrasto tra passato e presente è un potente promemoria di come la vita possa cambiare, di come le stesse mani che una volta si chiudevano a pugno possano ora aprirsi in segno di benvenuto. E quando parlo di quei tempi, delle sfide che ho attraversato e dei ponti che ho dovuto costruire per superarle, sento che il mio passato non è un fardello da cui fuggire, ma una storia da raccontare con orgoglio.

Non posso fare a meno di ammirare la forza insolente della speranza che non ha mai cessato di dirigere i miei passi, spingendomi lontano dal giovane che ero destinato a diventare secondo le aspettative di chi non ha mai creduto in me. In ogni momento in cui condivido il mio cammino, mi rendo conto che non solo ho trovato la libertà, ma ho anche dato ad altri la possibilità di liberarsi dalle loro stesse catene, semplicemente mostrando che esiste un’alternativa.

Tutto ciò conferma che raccontare la mia storia non è solo un atto di condivisione; è un rito di rinascita, un modo per ribadire a me stesso e a chi mi ascolta che, a prescindere da dove veniamo, possiamo sempre scegliere dove vogliamo andare. Che il giudizio e le avversità possono essere superati e che le voci scettiche possono trasformarsi in applausi autentici se solo persistiamo nel credere fermamente in noi stessi. E questa sembra na’ cazzata, vero? Ma é così! Caspita e se é così.

Dal muro di casa al palcoscenico del mondo

Paolo Cuciniello. Da una stanza al palcoscenico.

Il mio percorso è stato come un sentiero inerpicato su una montagna, non come un corridoio pianeggiante di un hotel; pieno di inciampi, svolte impensabili e sorprese dietro ogni angolo. Sono cresciuto in un ambiente dove le strade spesso urlavano i loro messaggi con graffiti ribelli e vibranti, parlando di sfide, di speranza, e della rabbia di chi sentiva di non avere voce. Quelle frasi, a volte criptiche, altre volte dolorosamente chiare, sono un’eco potente delle voci interiori che tutti portiamo con noi, quelle voci che ci parlano quando il mondo attorno sembra cadere nel silenzio.

Ho imparato, crescendo tra quei messaggi e quei “palazzi”, che i sogni sono come uccelli: possono volare alto, se solo glielo permettiamo, ma troppe volte li teniamo serrati nelle gabbie delle nostre convinzioni limitanti. La realtà ci spinge a maturare, certo, ma nel processo di questo inesorabile maturare, molte persone perdono di vista i propri sogni, lasciandoli appassire come foglie in autunno. E quando queste stesse persone incrociano qualcuno che ha osato perseguire i suoi sogni, che continua a combattere su più fronti – il lavoro, gli affetti, le passioni – non possono che rimanere affascinate o addirittura increduli.

In un mondo che spesso glorifica il singolo percorso lineare e il successo rapido e lampante, io ho scelto la poliedricità. Non è facile dividere ogni giorno tra impegni diversi – sì, tra lavoro e attività che alimentano il corpo e lo spirito, ma anche tra la ricerca di quel minuto rubato al caos per scrivere, per creare, per continuare a sognare. Ho tenuto viva la scintilla di quei sogni, che a volte sembravano destinati a spegnersi, ma che ora brillano più forte in ogni parola che pronuncio, in ogni libro che pubblico.

Così, quando qualcuno mi ascolta raccontare del mio viaggio, ho l’impressione di riaccendere qualcosa in lui, quel qualcosa che era stato forse dimenticato o nascosto sotto strati di quotidianità e compromessi. Non è un semplice racconto di successi personali; è una testimonianza vivente che ogni sogno, per quanto grande, complesso o irraggiungibile possa sembrare, ha il diritto di esistere e di diventare la mappa su cui orientare il proprio viaggio unico e personale nella vita. E questo messaggio, spero, possa servire come uno strumento per altri, una torcia in mano a chi si trova in una notte oscura, uno stimolo a far cantare le loro voci interiori e a dipingere nuovi sogni sui muri, talvolta invisibili, delle loro esistenze.

Sguardi che narrano: la fotografia come testimone

Le foto scattate durante la mia recente presentazione sono un collage di emozioni silenziose, immortalate nei volti del mio pubblico. Sfogliandole, rimango ogni volta colpito dagli occhi e dagli sguardi degli ascoltatori, che riflettono un universo di storie non dette, di speranze e di aspirazioni. In quegli sguardi, posso leggere la risonanza delle mie parole con le loro esperienze personali, la ricerca di una conferma che la vita che desiderano è possibile raggiungere, e forse, in un angolo silenzioso del loro cuore, la speranza si rianima.

Vedo negli occhi di chi mi ascolta la luce di chi intravvede nuove opportunità, di chi crede in un futuro che trascende l’oggi, dove anche le storie più improbabili possono fiorire e prosperare. Mi rivedo in quegli sguardi, perché un tempo ero io quello che cercava risposte, speranza, e un esempio da seguire. Una volta, anch’io ero quel ragazzo, quello con un passato difficile, con una lista di ostacoli che sembravano insormontabili e con un linguaggio che mi apparteneva ma che non sapevo ancora esprimere pienamente.

Oggi, le parole che condivido non sono solo mie, sono un dialogo aperto con chi ha il coraggio di sognare. Parlando in lingue che non ho sempre conosciuto, scrivo di mondi lontani, ma profondamente connessi, che vanno oltre i confini geografici e culturali. Queste parole sono la prova tangibile che, nonostante le avversità, possiamo trasformare radicalmente la nostre realtà. Che chi ha il coraggio di combattere per i propri sogni può anche imparare a esprimersi in modi nuovi e sorprendenti, sfidando ogni previsione.

Le fotografie raccontano di questa incredibile metamorfosi e documentano lo scambio profondo tra chi parla e chi ascolta. Ogni sguardo curioso, ogni cipiglio pensieroso, ogni sorriso accennato rivela qualcosa di più grande di una semplice presenza a un evento: parla di quella connessione umana che si instaura quando la storia di una vita si srotola di fronte agli occhi di uno spettatore, dimostrando che non siamo soli nelle nostre battaglie, nei nostri dubbi, nelle nostre conquiste.

È in quegli scorci di vulnerabilità e di forza che riconosco l’importanza del mio ruolo come messaggero, come esempio vivente che, qualsiasi siano le origini, qualsiasi sia la pagina su cui ci troviamo, possiamo sempre scegliere di scrivere il capitolo successivo. Sì, con impegno e passione, infondendo fiducia in ogni gesto, possiamo cambiare la nostra storia in direzioni che una volta ci sarebbero sembrate impossibili, e proprio in questo sta la vera magia del vivere: nella costante e indomita convinzione che cambiare è sempre possibile.

Memorie nel cuore: il tributo agli amici perduti

Paolo Cuciniello. Per chi non c'é piú.

Tra le voci e le risa che ancora echeggiano nei miei ricordi, ci sono silenzi che pesano più di ogni parola mai scritta. La lotta personale che metto a nudo in ogni mio discorso è intrisa dei ricordi di quegli amici, quei compagni di un tempo, che per strade diverse, hanno lasciato un segno indelebile nel tessuto della mia memoria. Ogni successo, ogni passo avanti, li porto con me come un monumento invisibile a ciò che avrebbe potuto essere, a ciò che è stato, e a ciò che purtroppo non sarà mai.

La loro assenza, quel vuoto lasciato da vite spezzate troppo presto, è diventato un motore, una fonte di energia che mi spinge a fare di più, a essere di più. Nei miei momenti di solitudine creativa o mentre calco il palcoscenico, sento la loro presenza quasi tangibile, come fossero lì ad ascoltare, ad incoraggiare, a raccontare con me ogni storia di trionfi e di tragedie.

Quella notte in cui sorreggevo la tua testa, combattendo l’oscurità di un momento che ci ha messi di fronte alla mortalità. Te la ricordi? Quell’overdose, su quelle scalinate di quell’appartamento a Milano. La fragilità è la nostra compagna più sincera, un filo sottile che connette ogni respiro, ogni battito del cuore, alla vasta rete di possibili realtà che potrebbero svanire in un istante. Puff.

Ma questa consapevolezza della fragilità non è una sentenza, è invece una spinta a vivere con intensità, a rendere ogni istante uno splendido affresco della capacità umana di resistere, di amare e di sperare. È la stessa spinta che mi porta a condividere il mio viaggio, a raccontare senza filtri la verità delle strade percorse, perché, in ogni dolore c’è la bellezza di una lezione appresa, di un amore vissuto, di una forza guadagnata.

Racconto queste storie non per intenerire, né per commiserare, ma per celebrare. Perché ogni vita che incontra la mia è una testimonianza della resilienza, dell’ardimento e dell’infinito potenziale custodito in ognuno di noi. E così, mentre proseguo a parlare, a scrivere, a vivere, porto con me l’eredità di quegli amici perduti e il ricordo di un amore così grande che ha potuto sfidare persino la fragilità dell’esistenza umana. Questi sono i pezzi di me che condivido, è la vulnerabilità univa a una forza indistruttibile che faccio miei e che auguro a ogni ascoltatore di trovare e di nutrire nel loro percorso di vita.

Sognare è vivere: il viaggio continua

Non vi è nulla di più eroico della determinazione silenziosa che anima le quotidiane battaglie per la giustizia, per l’amore, per la realizzazione dei propri desideri più genuini.

Accetto che la vita può essere un ladro crudelmente talentuoso che si insinua nelle nostre tasche di speranza e gioia – so bene che può portar via in un soffio ciò che credevamo incancellabile. Tuttavia, nutro una fede incrollabile nel suo potere di compensazione, nella sua abilità di essere magnanima a quanti non si tirano indietro al lavoro della propria rinascita, a chi osa dipingere il futuro con colori brillanti e audaci, quelli dei propri sogni.

La mia vita è un mosaico di fallimenti trasformati in trionfi, di cadute che sono diventate salti verso nuove possibilità. È un viaggio che non termina mai, una narrazione in corso…

Sognare è l’atto più radicale di ribellione contro la negatività e la passività; vivere è trasformare quei sogni in realtà, passo dopo passo, parola dopo parola. È il viaggio più sorprendente, e mi impegno a continuarlo con voi, spalla a spalla, sognando a occhi aperti, camminando attraverso ogni tempesta ed esultando sotto ogni raggio di sole. Questo è il dono della vita, questo è il nostro viaggio, ed è la promessa di ogni nuova alba che ci attende.

Paolo Cuciniello. Beijing, China, 2023.

Parte 1: L’ennesima ondata di conflitto tra Israele e Palestina

Un Dialogo di Pace Necessario

Cari lettori, vi saluto con un saluto un po’ più pesante del solito, un saluto marchiato dalla serietà del nostro argomento di oggi. Il conflitto tra Israele e Palestina è una questione che sento il bisogno di affrontare, non solo per la sua rilevanza mondiale, ma anche per un legame personale. Vedrete leggendo.

Alcuni anni fa, durante i miei anni di università, ho avuto la fortuna di stringere amicizia con un compagno di studi che aveva un interesse ardente per la geopolitica del Medio Oriente. La sua passione non si limitava alle discussioni animate sui corridoi del campus o alle ricerche approfondite per le nostre letture. Era un interesse che permeava ogni parte della sua vita, un filo conduttore che lo ha spinto a visitare queste terre contraddittorie e affascinanti, a imparare l’arabo, a immergersi nell’intricata storia e cultura radicata in queste regioni.

Mentre assistiamo agli ultimi sviluppi tra Israele e Palestina, ho pensato spesso a questo mio amico. Le sue parole risuonano nella mia testa e i suoi interrogativi si intrecciano con i miei. E così, ispirato dalla memoria delle nostre discussioni ed evocato dal bisogno di rendere omaggio alla sua passione, ho deciso di dedicare questo blog alla situazione in corso tra Israele e Palestina.

In questa prima parte del blog, affronterò le cause profonde e le sfaccettature del conflitto, o quanto meno quello che ho appreso da ricerche che non sono le news di Italia 1, cercando di sviscerare le complessità storiche e culturali che ne alimentano la persistenza. Proverò a farvi capire come e perché la situazione è arrivata a questo punto, sperando che possiamo insieme trovare un cammino luminoso verso la comprensione.

Origini del conflitto

Il terreno di conflitto su cui oggi insistono Israele e Palestina è carico di storia. La sua origine si perde nel tempo, radicata in secoli di invasione, migrazioni, annessioni e controversie territoriali. Ma è verso la fine dell’epoca ottomana che troviamo quello che molti ritengono sia l’inizio del nodo intricato che oggi cerchiamo di districare.

Iniziai a comprendere il vero spessore di questa storia complessa quando il mio amico, durante una delle nostre discussioni, mi consigliò la lettura di “A Line in the Sand” di James Barr. Questo libro offre una dettagliata descrizione di come passammo tempestosamente dal dominio ottomano alla tutela britannica.

Book: A Line in The Sand by James Barr

All’epoca, la Palestina era sotto il controllo dell’Impero Britannico che, come un gigante stanco e indebolito dalle guerre, doveva decidere come strutturare il futuro di queste terre importanti ma decimato anche da feroci contese interne. Così, nel 1947, le Nazioni Unite decisero di dividere la Palestina in due stati distinti: uno ebraico, l’altro arabo.

Un utile punto di riferimento per comprendere la complessità e l’impatto di questa decisione è certamente il Rapporto delle Nazioni Unite sul Piano di Partizione con L’unità Economica. In esso si dettano i confini dei due stati e si stabilisce che Gerusalemme, città sacra per entrambe le fazioni, doveva invece rimanere una città internazionale.

Questa decisione, tuttavia, fu immediatamente contestata e innescò la guerra arabo-israeliana del 1948 che, per brutalità e durata, fece immediatamente capire quanto fossero profonde le divisioni tra i due popoli. Ecco quindi che il primo seme di questo conflitto eterno fu piantato, destinato a germogliare in un amaro frutto cui Israele e Palestina sono costretti a scontrarsi da allora.

Il ciclo infinito di violenza

L’esperienza attuale in queste regioni sembra essere un orribile ciclo ricorrente di violenza, un vasto campo in cui ogni speranza sembra essere inaridita dalle lacrime di dolore versate per troppo tempo. Questa realtà crudele nasce in parte dalla frammentata struttura politica in Palestina.

L’attenzione del mio amico mi portò a comprendere i dettagli di queste dinamiche attraverso l’opera “Gaza: An Inquest into Its Martyrdom” di Norman Finkelstein. Il libro espone in maniera dettagliata l’origine e l’importanza dell’attuale divisione tra Fatah e Hamas. Fatah, partito nazionalista e secolare, regola la Cisgiordania. Hamas, un movimento islamista, domina invece nella Striscia di Gaza. Questa divisione interna alimenta un’instabilità perpetua che complica ulteriormente la risoluzione del conflitto con Israele.

Gaza - An Inquest into Martyrdom

Israele, d’altro canto, è intrappolato in una continua minaccia di attacchi con razzi, in particolare provenienti dalla Striscia di Gaza. Diverse volte ho discusso intorno a queste questioni insieme al mio amico, cercando di capire l’origine e le logiche di tale fenomeno. Mi ritrovo così d’accordo con quanto raccontato da Micah Goodman nel suo libro “Catch-67: The Left, the Right, and the Legacy of the Six-Day War”. Micah Goodman, nel suo libro, offre uno sguardo approfondito sulla mentalità israeliana dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967.

Libro "Catch-67" by Micah Goodman

Uno degli aspetti principali che sottolinea è l’ideale sionista, che ha influenzato negli anni l’agenda politica israeliana e ha avuto un impatto diretto nel modo in cui Israele ha risposto agli attacchi di razzi. Goodman scrive che l’ideale sionista di creare un rifugio sicuro per gli ebrei si è scontrato con la realtà di una minaccia persistente, intrappolando Israele in una mentalità difensiva. Ciò ha portato Israele a adottare un approccio più assertivo, rispondendo con forza agli attacchi, nel tentativo di dissuadere ulteriori aggressioni.

Il libro mette anche in luce il modo in cui il conflitto ha diviso la società israeliana. Da un lato, ci sono quelli che vorrebbero ritirare Israele dai territori palestinesi occupati in cambio di pace. Dall’altro lato, ci sono quelli che ritengono che ritirarsi significherebbe rinunciare a territori biblicamente e storicamente significanti, un prezzo troppo alto da pagare.

Ritengo che Goodman abbia perfettamente centrato il punto sulla dualità del dilemma israeliano. Da un lato, il desiderio di vivere in pace e sicurezza, dall’altro, il desiderio di preservare la loro identità e legami storici. Questa tensione interna è un ingrediente essenziale nel calderone complesso del conflitto israelo-palestinese. E continuare a comprendere questa dualità è fondamentale per capire il contesto più ampio di questo conflitto persistente.

Goodman descrive con maestria le percezioni storiche e le implicazioni di questi attacchi, offrendo intuizioni preziose che aiutano a capire il contesto più ampio.

Parte 2: Salvato dalle tempeste dell’oceano, affrontando le tempeste della vita – la storia di un bambino di Gaza.

Un Incontro Casuale lungo le Strade di Singapore

Anni fa, in uno dei miei tanti viaggi, mi trovavo a Singapore insieme a una cara amica. Ricordo che i primi raggi del sole impersonavano il pittore, dipingendo di luce la vivace metropoli, mentre io, ancora addormentato, abbandonavo il mio letto per passeggiare per queste strade aliene, curioso e desideroso di assorbire la vera essenza di tali luoghi.

Ogni viaggio che ho intrapreso mi ha insegnato che le città rivelano la loro vera fisionomia nelle prime ore del mattino, quando il traffico rallenta e la vita urbana si sveglia lentamente, permettendoti di assaporare ogni dettaglio in pace. E così, durante queste escursioni mattutine, ho cominciato a familiarizzare con le sfumature di Singapore, a familiarizzare con la sua gente e i suoi suoni.

Fu durante uno di questi giri in solitudine che incrociai il mio cammino con quello di un giovane palestinese di nome Ahmad. Il suono del mio accento straniero risvegliò la sua curiosità mentre camminavo per la zona indiana di Singapore. Questo era l’inizio di un legame inaspettato e di una storia che ha cambiato la mia prospettiva sulla situazione di conflitto in Palestina. Una storia che ora, desidero condividere con voi.

La Battaglia della Nascita

Ahmad nacque nel bel mezzo di ostilità e divisioni, in una Gaza che sapeva più di guerra che di pace. Crescere in Palestina significava svegliarsi ogni giorno in un mondo incerto, dove la liberà di vivere un’infanzia normale era un lusso che pochi potevano permettersi.

Queste non erano solo storie o argomenti di cui discutere davanti a un caffè: la guerra era la sua realtà quotidiana, la cornice di ogni ricordo d’infanzia. Razioni di cibo, attacchi aerei e l’imminente sensazione di paura erano diventati elementi ordinari nella sua giovane vita.

La sua vita prese una svolta più oscura quando aveva solo dieci anni. Durante un attacco aereo, Ahmad perse la sua famiglia. Questa tragedia scolpì in lui un dolore che nessun bambino avrebbe mai dovuto provare. Il volto del conflitto era diventato troppo personale, troppo reale.

Alla Ricerca della Pace

A vent’anni, con un cuore pesante e un bagaglio leggero, Ahmad decise che era arrivato il momento di allontanarsi da ciò che una volta chiamava casa. Si resse saldo contro il vento della guerra e, con una raffica di speranza increspata nel cuore, decise di navigare nel mondo alla ricerca di un rifugio di pace. La sua patria, un terreno familiare ma coperto di cicatrici, era ormai diventata un labirinto inestricabile di dolorose memorie.

Ricordo il modo in cui descriveva le sue prime esperienze di viaggio. Le nuove culture, le lingue diverse, le persone, le tradizioni, così discordanti dalla sua infanzia a Gaza. Non era solo un’avventura, ma una continua rivelazione. Una rivelazione che il mondo poteva essere altro, altro dalla violenza, dal lutto e dalla paura.

Le sue storie di viaggio riscaldavano le sue parole e brillavano nei suoi occhi. Tra la gente che incontrava, le città che scopriva, i cibi che assaggiava, iniziò a capire di più sul mondo e sé stesso. Scopriva che la vita poteva essere un’esperienza da celebrare, non solo da sopravvivere.

Una notte, proprio durante la sua permanenza in Singapore, decise di fare un bagno rischioso nel misterioso oceano. L’oceano sembrava infinito, come l’oscura tessitura del suo passato. Ma invece di risparmiarlo, l’oceano decise di dargli una lezione. Un’onda lo trascinò lontano, lasciandolo solo e spaventato al largo. Credeva che fosse la fine, che le sue lotte fossero concluse.

Ma il destino aveva in serbo per lui un’altra sorpresa. Dopo ore di solitudine, una barca apparì in lontananza e si avvicinò a lui. Passando per caso, lo videro e lo portarono in salvo.

Da allora, Ahmad ha raccolto questo incidente come un simbolo di speranza e tenacia. Lo ricorda come il momento in cui la vita gli ha dato un’ulteriore chance, un’altra pagina da riempire con nuove esperienze. Lui, un semplice bambino di Gaza trasformato in un nomade globetrotter, ha imparato che la vita può essere crudele, ma può anche essere straordinariamente generosa. E in quest’oscillazione tra estremi, ha trovato il coraggio di tracciare il suo percorso, senza mai perdersi nel mare della disperazione.

La Speranza Come una Bussola, la Pace Come Destinazione

Seguendo la tradizione delle storie che ci raccontavano i nonni davanti al fuoco, oggi ho condiviso con voi la storia di Ahmad. Un ragazzo che, nato nel caos di una lotta senza tempo, ha trovato il coraggio di cercare la luce di un futuro incerto ma pieno di speranza.

La sua storia è un promemoria vivido che nel cuore della pace vi è uno spirito indomito. Nonostante la guerra, la sofferenza e la perdita, la speranza prevale sempre. È l’infrangibile legame tra l’individuo e la promessa di domani, il riflesso dell’irriducibile spirito umano che continua a risorgere dalle ceneri del dolore.

Non posso fare a meno di chiedermi dove sia Ahmad adesso. In quale posto del mondo si trova? Continua a viaggiare, a bere la vita a grandi sorsi e a lottare per la pace? Mi chiedo quante altre storie ha accumulato, quanti sorrisi ha condiviso, quante speranze ha coltivato.

Stranamente, nonostante l’intensità della nostra conversazione, non abbiamo mai pensato a scambiarci i contatti. Forse perché le storie come quella di Ahmad, i momenti magici come quello che abbiamo condiviso quella notte, hanno una bellezza evanescente, destinata a vivere al meglio attraverso il filtro della memoria e dell’immaginazione.

Forse è giusto così. Alcune storie, alcune notti, alcune persone, non dovrebbero essere rincorse. Dovrebbero essere lasciate andare, per diventare parte del cosmo delle nostre esperienze, lampeggiare nella notte come stelle distanti, ricordarci la vastità di ciò che è stato e ciò che può essere.

Questa vita, ah?

In questi anni come scrittore, ho avuto il mio po’ di alti e bassi. Sono stati i momenti in cui mi sono messo a lavorare su un nuovo libro pieno di entusiasmo solo per ritrovarmi impantanato in mezzo. Quando la mia passione per l’arte della scrittura sembrava diventare piuttosto un’ossessione che bloccava la mia creatività.

Il mio viaggio come scrittore e la riscoperta della passione

La mia carriera come scrittore è stata un viaggio vivo e in costante evoluzione. Nelle sue fasi migliori, è stata un’esperienza di immersione totale, in cui la mia penna si muoveva liberamente sul foglio (le mie dita sulla tastiera, in realtà, ma dire penna e foglio è più figo!), dando vita a mondi nuovi e incredibili.

Nelle fasi peggiori, però, ho lottato contro blocchi creativi persistenti e la pressione di produrre costantemente qualcosa di nuovo. Avevo la sensazione di affogare nei miei stessi pensieri, irrigidito da un’ossessione per il perfezionismo che non avrebbe dovuto avere posto nel mio processo creativo.

È in questi momenti che ho trovato un rifugio in una prospettiva fresca ed emozionante sul mondo del lavoro, mettendo il benessere mentale al centro della conversazione, quando guardandomi attorno tornando a casa in metropolitana dall’ufficio ho visto così tanti “morti in piedi” ancora immersi nelle email di lavoro sul cellulare alle 22…

Nel mio viaggio di scrittura, ho vissuto momenti in cui l’entusiasmo iniziale per un nuovo progetto si è lentamente trasformato in un senso soffocante di oppressione. Invece di lasciare che le parole fluiscano liberamente, mi ritrovavo bloccato in un circolo vizioso di autocritica e rimuginazione.

È proprio in queste situazioni che ho capito che dovremmo essere meno appassionati del lavoro. E ciò non significa che dobbiamo impegnarci meno, ma che dobbiamo imparare a staccarci quando necessario e a dedicare tempo alla cura di noi stessi.

Può sembrare contraddittorio in prima battuta, vero? Soprattutto per uno scrittore nel picco della sua passione. Ma rendermi conto di questa verità è stato un processo liberatorio. Quando ho iniziato a staccarmi dall’ossessione del mio lavoro, non solo ho iniziato a sentirmi meglio, ma ho anche scoperto che la qualità del mio lavoro subiva un netto miglioramento.

L’ansia danneggia il processo creativo di uno scrittore

Un’altra cosa che ho anche imparato tornando a casa dall’ufficio la sera, è il diverso modo con cui ognuno di noi affronta l’ansia. L’ansia è una compagna costante per molti ma invece di lasciare che essa prenda il sopravvento, ho capito che dovremmo incoraggiarci a riconoscerla e a gestirla in modi più efficaci.

L’ansia. Una presenza quasi costante nella vita di molti scrittori. Come un’ombra in fondo alla stanza, sussurra dubbi e insicurezze, temendo che la prossima idea non sia abbastanza buona o che l’opera attuale non stia vivendo fino all’immaginaria barra che ci siamo imposti.

Ne parlavo con un amico non troppo tempo fa; delle sfaccettature complesse di questa emozione e gli effetti che può avere sulla nostra creatività e produttività. Lui suggeriva di eliminarla o ignorarla, ma al contrario, adesso invece vorrei suggerirgli di riconoscerla. Perché c’è una sottigliezza nell’essere presenti con le nostre emozioni, nel permettere loro di esistere senza lasciare che ci sopraffacciano e questo è un concetto che ho imparato a integrare nel mio processo creativo.

La pressione di creare qualcosa di nuovo ed originale può essere schiacciante. Ma anziché permettere all’ansia di dominare, ho imparato a vederla come un segno di mia dedizione allo sviluppo della mia arte. Non è un indicatore di fallimento, ma la prova della mia ambizione.

Avere un riconoscimento così compassionevole dell’ansia nel contesto del lavoro non è solo rinfrescante, ma necessario. Troppo spesso, affrontiamo la pressione e l’ansia con la negazione o la resistenza. Ma nel riconoscere queste emozioni, nel trattarle con rispetto, possiamo imparare a lavorare con loro invece che contro di loro.

Finora nel mio percorso, ho scoperto che gestire l’ansia non si tratta di eliminarla completamente. Si tratta di costruire un rapporto più sano con essa, di utilizzarla come uno strumento per guidare piuttosto che ostacolare il mio processo creativo.

Soffermarsi sulle difficoltà del lavoro non fa che aumentare l’ansia

Voglio ripeterlo. Soffermarsi sulle difficoltà del lavoro non fa che aumentare l’ansia. Durante periodi stressanti della mia carriera di scrittore, mi sono ritrovato ad affrontare ansia e stress continuo. Troppo spesso, mi sono focalizzato solo sulle sfide invece di celebrare i miei successi. Ed è assurdo se penso a quanto spesso ci capita di farlo!

Però ho iniziato a gestire meglio queste situazioni. Ho imparato a scollegarmi dal mio lavoro quando ne avevo bisogno, a dedicare tempo alle persone che amo, a fare attività che mi rilassano e a concedermi delle vacanze senza sensi di colpa. Questo cambiamento di prospettiva ha avuto un impatto enormemente positivo non solo sulla mia vita lavorativa, ma anche su quella personale.

Prendersi cura di sé in un mondo orientato al lavoro

Un’altra riflessione che mi viene da fare, sempre inerente alla gestione delle emozioni sul posto di lavoro, è l’importanza di prendersi cura di se stessi. Questo non significa solo il benessere fisico, ma anche il benessere mentale ed emotivo.

Soprattutto in un mondo in cui ‘sempre connessi’ sembra essere la norma attesa, è cruciale che ciascuno di noi si prenda consapevolmente del tempo per se stesso. Una pausa per respirare, fare una passeggiata, leggere un libro, o qualsiasi altro hobby che ci aiuti a distaccarci dai doveri lavorativi, può fare miracoli per il nostro stato d’animo.

Questo tempo per sé non è un lusso, ma un necessità. Non importa quanto sia impegnativa la nostra carriera o quanto siamo appassionati del nostro lavoro, abbiamo bisogno di queste pause regolari per riequilibrarci.

Sii gentile con te stesso. Ricorda che non sei la tua produttività. Non sei meno degno se non hai completato l’intera lista delle cose da fare oggi. Perdona te stesso per gli errori che hai fatto e celebra i tuoi successi, non importa quanto possano sembrarti piccoli.

Infine, prenditi cura del tuo corpo e della tua anima. Mangia cibo nutriente, fai esercizio fisico regolare, dormi a sufficienza, coltiva relazioni positive e nutri la tua mente con pensieri ed esperienze positive. Scopa, fai all’amore, accarezza tuo marito, accarezza tua moglie, goditi la cena col tuo amante, parla di sogni coi tuoi figli, disegna e balla con loro cantando le canzoni dei cartoni animati. Masturbati, non sentirti in colpa. Guardati allo specchio e mandati un bacio perché sei bello, perché sei bella così come sei.

Muah!

Carissimi lettori,

Voglio iniziare questo post riconoscendo che è passato un po’ di tempo dall’ultimo aggiornamento del blog, e per questo chiedo scusa. Il mio ultimo post risale al 26 novembre e da allora, c’è stata una gran quantità di riflessioni, letture e scritture.

Sono tornato in Italia dopo cinque anni che vi mancavo, la scorsa estate, e ho ricevuto tantissime richieste da parte dei giovani scrittori che desiderano consigli sulla scrittura. Questo flusso di curiosità e passione per la scrittura mi ha riempito di ispirazione e mi ha spinto a condividere con voi un nuovo argomento che mi sta a cuore: le lezioni sulla scrittura.

Tra le dune del deserto dell’Inner Mongolia, al nord della Cina, ho pensato che potrebbe essere utile per voi condividere alcuni trucchi, consigli ed esercizi che ho adottato nel corso degli anni per perfezionare le mie competenze di scrittura e creare storie avvincenti. Ho raccolto queste perle di saggezza sia attraverso l’esperienza personale, sia leggendo il lavoro di altri scrittori stimati, sia semplicemente attraverso il tentativo ed errori nel corso della mia carriera di scrittore.

Lezione 1: la disciplina è fondamentale nella vita di uno scrittore

La prima lezione che desidero condividere con voi riguarda la disciplina. Una delle parti più difficili della scrittura, secondo me, è mettersi davanti al computer (o al foglio di carta, se preferite l’approccio più tradizionale) e iniziare a scrivere. Essendo ognuno il proprio capo, siamo liberi di gestire il nostro tempo come meglio crediamo. Tuttavia, questa libertà può trasformarsi in una trappola: ci sono mille distrazioni che potrebbero distoglierci dallo scrivere. Perciò, mantenere la disciplina è fondamentale.

Il primo passo è creare una routine di scrittura. Ad alcuni potrebbe piacere alzarsi presto e scrivere con una tazza di caffè in mano, mentre altri potrebbero trovare la notte mutevole un momento più ispirato. Trovate l’orario che funziona meglio per voi e impegnatevi a rispettarlo come un appuntamento non negoziabile.

E’ importante anche creare un ambiente di lavoro ottimale. Trovate uno spazio tranquillo, dove vi sentite comodi, e rendetelo il vostro ‘spazio sacro della scrittura’. Sia che si tratti di un ufficio in casa, di un angolo accogliente del soggiorno o del vostro posto preferito in un caffè, quel luogo dovrebbe rappresentare la vostra dedizione alla scrittura.

Infine, non abbiate paura di prendere pause. A volte, quando ci sentiamo frustrati o bloccati, la cosa migliore da fare è allontanarsi per un po’. Fare una passeggiata all’aria aperta, preparare una tazza di tè o semplicemente stendervi sul divano possono diventare ricariche creative.

Ricordate, la disciplina non significa forzarsi a scrivere in un flusso ininterrotto. Piuttosto, significa creare e sostenere abitudini che favoriscono una pratica di scrittura sana e sostenibile nel tempo.

Lezione 2: disegnare usando le parole aiuta a farsi leggere meglio

La seconda lezione riguarda l’arte del ‘mostrare, non raccontare’. L’arte del ‘mostrare, non raccontare’ è un principio fondamentale nella scrittura e uno che può trasformare drasticamente la qualità del tuo lavoro. Il concetto di base qui è che invece di dirlo al lettore in modo diretto, lo fai agire o parlare in modo tale da trasmettere le stesse informazioni.

Ad esempio, invece di dire ‘Marco era arrabbiato’, potresti scrivere ‘Marco sbatté la porta e scaraventò il cappotto sull’appendiabiti’. Il secondo esempio offre allo stesso tempo una montagna di nuove informazioni. Senza dire apertamente che Marco è arrabbiato, permetti al lettore di arrivare a quella conclusione attraverso le sue azioni.

Questo principio si estende alle descrizioni dei personaggi, delle scene e delle emozioni. Quando descrivi un personaggio, non elencare solamente le sue caratteristiche fisiche. Cerca di incorporare queste descrizioni in azioni o dialoghi.

Applicare ‘mostrare, non raccontare’ può sembrare complicato all’inizio, perché richiede di pensare in modo strategico su ogni frase. Ma con la pratica, diventerà naturale e la tua scrittura sarà più coinvolgente e vivida.

Lezione 3: revisiona sempre il tuo lavoro!

La terza lezione è l’importanza della revisione. La revisione è un passaggio fondamentale nel processo di scrittura e un elemento chiave per portare il tuo lavoro a un livello superiore. Molti scrittori in erba tendono a sottovalutare l’importanza della revisione, concentrando invece la maggior parte dei loro sforzi sulla creazione della prima bozza. Ma scrivere non si tratta solo di mettere insieme parole – è un processo incessante di affinamento e miglioramento.

Quando completi la tua prima bozza, potresti sentirti esausto e al tempo stesso entusiasta. È normale. Ma è importante resistere alla tentazione di pubblicare immediatamente il tuo lavoro. Prenditi il tempo per una revisione accurata. Lascia che la tua storia ‘riposi’ per un po’. Quando ci torni con occhi freschi, sarai in grado di vedere più facilmente i punti di forza e di debolezza del tuo lavoro.

Nella revisione, è essenziale prestare attenzione all’ortografia e alla grammatica, ma non fermarti lì. Considera il flusso del tuo lavoro. Le tue frasi e i tuoi paragrafi si collegano tra loro in modo fluido? Le tue idee sono chiare e ben formulate? Ci sono parti del tuo lavoro che potrebbero essere migliorate, compressi o estese?

Un altro suggerimento utile è leggere ad alta voce. A volte, quando leggiamo il nostro lavoro ad alta voce, riusciamo a cogliere le imperfezioni molto più efficacemente.

Infine, ricorda che la perfezione è un mito. L’obiettivo non è rendere il tuo lavoro perfetto, ma il più efficace possibile. Continua a scrivere, continua a rivedere, e tenendo sempre presente che solo attraverso la pratica si raggiunge la maestria.

Lezione 4: la conoscenza di sé stessi è la chiave di tutto

Tuttavia, nonostante tutti questi consigli, la lezione più importante è che ognuno ha il suo processo unico. Quello che funziona per me potrebbe non funzionare per voi, e viceversa.

La scrittura può essere uno strumento potente di introspezione, una finestra attraverso la quale dare un’occhiata nel profondo di noi stessi. Attraverso la scrittura, possiamo esplorare le nostre emozioni, i nostri desideri, i nostri paesaggi interiori. Conosci te stesso, le tue passioni, le tue paure, le tue speranze. E poi, con coraggio, metti tutto questo su carta.

Alla fine, con ogni parola che scrivi e riscrivi, diventi non solo un migliore scrittore, ma anche una persona più consapevole. E non c’è niente di più importante di questo.

Lo scrittore italiano Paolo Cuciniello condivide preziosi consigli sulla vita e la scrittura in un nuovo blog sul suo sito paolocuciniello.com. Scopri lezioni uniche da un professionista mentre esplora questo angolo affascinante del mondo in cui si trova: Inner Mongolia.

Prima di concludere, voglio esprimere la mia più sincera gratitudine a tutti voi. Ogni messaggio che inviate, ogni partecipazione ai miei eventi, ogni parola di incoraggiamento svolge un ruolo fondamentale nel mio viaggio creativo. Ogni opportunità di potermi esprimere e condividere il mio mondo con voi è un regalo che apprezzo profondamente.

La vita è un viaggio che continuiamo a scoprire, nel quale ci tuffiamo nell’ignoto, impariamo e cresciamo. Ed è nell’atto di condivisione che troviamo connessioni significative e realizziamo veramente la nostra umanità. Condividiamo non solo attraverso le risposte, ma anche attraverso le domande, perché le domande alimentano la curiosità, aprono nuove strade e spingono avanti il viaggio.

Quindi continuiamo a condividere le nostre storie, le nostre domande, i nostri viaggi. Condividiamo con gli uni e gli altri, perché è attraverso la condivisione che costruiamo ponti, che rompiamo le barriere, che scopriamo più pienamente noi stessi e l’altro.

Grazie per avermi permesso di condividere con voi le mie estrazioni dalla mia esperienza di scrittura. La vostra partecipazione e il vostro coinvolgimento rendono tutto questo possibile. Aspetto con ansia di continuare questo viaggio con tutti voi.

Se avete domande o punti da discutere, sentitevi liberi di lasciare un commento qui sotto. Aspetto con ansia le vostre idee e riflessioni!