Buona festività della Luna, caro diario! E buona festività della luna anche a te, caro lettore!

Voglio dare a entrambi un aggiornamento, ha smesso di piovere. Non definitivamente eh, il meteo dice che domani riprenderà, ma per oggi sì, ha smesso. Infatti oggi il sole è grande e splendente e il cielo è blu. Di un blu acceso che non hai idea. Fuori i bambini sono spuntati come funghi per giocare a rincorrersi, e le signore sulle panchine a parlare, anche. Io sto per prepararmi per andare a correre. Voglio approfittarne prima di andare fuori a pranzo. Sarei dovuto andare appena sveglio, penso, ma appena sveglio sono stato preso da un’idea. Ho ricevuto un email a proposito di un concorso letterario. In un primo momento l’avevo cancellata, non mi interessano queste cose. Però poi, durante la colazione, ho pensato… un concorso letterario? Beh, ho sfidato me stesso con i social network quest’anno; con i video risposta alle vostre domande, con le foto postate, con Facebook, con Instagram… perché non continuare anche con un concorso letterario?! Dopotutto è sempre qualcosa di nuovo, che male può fare? Scrivere due pagine in più non può che farmi bene dopotutto, no?

Però di sicuro non vincerai.

E che fa! Chi se ne importa. Mica ho mai scritto per vincere! Ho sempre scritto prima per me. Poi le parole sono arrivate agli occhi di chi ha saputo leggere e alle orecchie di ha saputo ascoltare… e così siamo arrivati a oggi; a scrivere un diario aperto… no?

Vero.

Si.

Per cui… un concorso letterario… perché no. Ti terrò aggiornato caro diario. Ed anche a te, caro lettore.

Intanto, Buona festività della Luna!

Le parole che volevo dedicarti eran come fiori. 
Son morte nel momento in cui le ho colte per scriverle, e dartele. 
Ora sono su di un foglio ma senza vita. Vuote. 
Ti prego comprendine il valore, cogline il senso. 
Perché con coscienza le ho private del respiro per te.

E chissà se mai le leggerai quando arriverai. Magari sarò già andato, già ripartito. Magari, chissà. Ma te le lascio su di un tavolo, su di un tovagliolo. Te le lascio a terra, tra i piedi nudi e il suolo. Te le lascio sulla spiaggia, sull’incanto di un’onda… e poi di un’altra. Te le lascio sulla montagna, nella vita di un respiro. Te le lascio nel silenzio, nella pace. E anche nella solitudine. Te le lascio nel vento, su di un brivido. Te le lascio nella vita, nelle pause tra un respiro e l’altro che farai. Alla fine di un inspiro. Alla fine di un espiro. Te le lascio nella morte, nel suo mistero e nella sua scoperta. Nel suo significato di vita che ha. 

Ti prego comprendine lì il valore, lì cogline il senso.

Da quant’è che non cammini piano sotto alla pioggia? Da quant’è che non ti fermi a sentirla cadere, guardando da dove viene… da quant’è?

Ricordo come da piccolo, con mio cugino, ogni qual volta che pioveva correvamo a prendere degli scatoloni vuoti di cartone. Ricordo come correvamo fuori, a costruirci castelli con finestre, e come ci sedavamo dentro a guardare la pioggia cadere. Posso ancora sentire quel brivido sotto pelle per il cambio di temperatura, posso ancora sentire quelle gocce e quel bene che mi facevano. Lì, seduti nei nostri castelli grandissimi, in un mondo ancora più grande, in silenzio, ad osservare e a sentire.

Ora quei castelli non ci sono più e il mondo poi in fondo mi sembra così piccolo adesso. Gli scatoloni ormai li butto via. Faccio casino con le parole, coi pensieri, i miei e quelli degli altri. Osservo meno e sento ancora di meno. Quando piove corro perché se no mi bagno, e se mi bagno m’incazzo. Mio cugino neanche lo sento più così spesso. Ora ho freddo soltanto, quei brividi neanche li sento.

Life is made up of a collection of moments that are not ours to keep… già.

Da quant’è che non cammini piano sotto alla pioggia? Da quant’è che non ti fermi a sentirla cadere, guardando da dove viene…

da quant’è?

È domenica. È l’inizio delle festività di metà autunno, conosciute anche come festività della luna. (Preferisco quest’ultimo nome). Le notti in queste settimane sono illuminate di magia e potessi spegnere le luci della città lo farei. Si vedono le stelle e la luna è così grande e vicina che quasi puoi toccarla. Ma per fortuna no; rovineremmo anche quella altrimenti. Dicono che è un momento, questo, per le famiglie… per rivedersi e riunirsi. Dico che è solo un’altra ipocrisia rivestita, in qualche modo… come il Natale da noi in occidente. Tutti a ricordare di com’era bello e nessuno a provarci davvero a viverlo nel momento…

Mi sento strano. Potessi farlo, berrei un caffè in cucina con i miei. Potessi farlo, direi a mia madre di prepararsi col vestito più bello e d’indossare la borsa Dior e le scarpe Paciotti che le ho regalato. Potessi farlo, indosserei con mio padre lo stesso giubbino in pelle d’agnello che abbiamo. Potessi farlo, li porterei a messa con me… mezz’ora prima… giusto il tempo di godere dell’incenso nella Chiesa vuota e del rosario. Li porterei a pranzo fuori, gli farei bere del brunello di Montalcino, mangiare ciò che desiderano e dopo il caffè, li porterei al mare. A bere Dom Perignon sugli scogli, alla vista di onde agitate e di un cielo grigio. Alla presenza del vento e di te. Potessi farlo, mi prenderei ogni croce che hanno, mentre stanno bene e sorridono in questo giorno, in cui, se potessi farlo, ti ridarei la vita e me ne andrei, per lasciare il posto a te… in un mondo di pace.

Fossi capace di saper dare forma a queste emozioni con la vita non starei qui a scrivere. Fossi capace di saper dare forma a queste emozioni con la scrittura non starei qui a vivere. Fossi capace di dar forma a queste emozioni con l’arte… beh sarei un artista. Se soltanto fossi capace… ma non lo sono. Scrivo per capire meglio la vita; ricapitolando. Vivo per capire meglio come scrivere; crescendo. E l’arte? E l’arte chissà. Mi viene da dire che l’arte è delle donne, che l’arte è nelle donne. Nel dare la vita e nel coraggio che ci vuole per farlo. Nel dare la vita e nel coraggio che ci vuole per proteggerla. Nel dare la vita, nel proteggerla e allo stesso tempo nel proteggere un uomo, senza cedere parlando del dolore e del male. Quella è arte, quella è creazione. Mi viene in mente una frase, forse una poesia, che fa:

Madre è l’altro nome di Dio sulle labbra e sui cuori di tutti i figli.

Potessi soltanto ricordarmene un secondo prima di ferirle… potessi soltanto abbracciarle tutte e dirgli di dare quel male a me… potessi soltanto…

È sabato, oggi qui si lavora. Ho preparato già la borsa e una lista delle cose da fare. Mi sono allenato, meditato, fatto la doccia, fatto colazione con tre uova e del prosciutto, preparato un caffè nero americano. Pianto e pregato. Pianto e parlato con te… che mi dici che non sono solo… che mi accarezzi il cuore. Che mi proteggi, senza cedere, mentre ti parlo del dolore e del male.

Credo che le temperature stiano cominciando ad abbassarsi. O forse è il cambio stagione che mi fa prudere il naso; può darsi. Fossi ancora a casa dei miei, mia madre comincerebbe a dirmi di coprirmi. Ma sono nella mia casa ora… per cui è mia moglie a dirmi di cominciare a farlo (lol)… e con le buone? Niente affatto! Con la minaccia di buttare via tutti i pantaloni strappati se non lo faccio! Vuoi o non vuoi, c’è sempre qualcuno che ti dice cosa fare. E vuoi saperla una cosa? Goditeli quei momenti. Goditeli perché quando poi resti solo ti verranno in mente e solo ad allora ne capirai il valore. Suona scontato lo so, ma è così. Per cui lascia che le persone che ti amano parlino e ti consiglino, non interromperle. Non contraddirle. Giocate. Ascoltatevi e giocate. Che quello ci resta di pratico del mondo di quando eravamo piccoli… giocare.

Detto ciò, restando in tema bambini, oggi mi va di parlare delle bugie. E non di quelle bianche. Non di quelle dette per proteggere gli altri. Non di quelle dette per proteggere noi stessi. Non di quelle dette per nascondere verità scomode. Non di quelle dette per coccolare. Non di quelle dette in nome dell’amore ma di quelle dette in nome di essere dei gran pezzi di… niente. Perché è quello che sono, quelle persone: niente. Il problema però è che da troppo vicino a volte non è facile vederlo un quadro, per cui non è facile vederle queste persone… di niente. È normale, fanno parte del crescere e del capire il mondo e la vita, mi dirai. Ed hai ragione. Infatti è ciò che ho detto anch’io, a un’amica ieri.

Com’hai iniziato strano questa storia, Paolo.

Vero?

Si.

Ma infatti mi sono perso. Cercavo di seguire i pensieri e collegarli come sempre faccio ma non credo oggi funzioni così.

Si infatti. Vuoi riprovarci e ricominciare?

Dovrei. Ma no. Voglio continuare così.

Ma chi legge poi non capisce.

Non fa nulla. Chi mi legge, seppur senza capire deve vederlo ogni tanto il percorso che fanno le parole nella teste di chi le scrive, no?

Hai ragione.

Si.

Credo che le temperature siano cominciate ad abbassarsi perché la scorsa notte sono uscito di casa mentre indossavo un pantalone strappato, per rispondere ad una telefonata che è durata più del previsto. Durante questa telefonata ho passeggiato, poi messaggiato, poi trovato posto al parco e restato lì per un po’ a pensare; ed è per questo che sono tornato a casa infreddolito e con la consapevolezza che le temperature si fossero abbassate… e ricevendo l’ordine di non indossare più pantaloni strappati la notte!

La telefonata, la passeggiata, i messaggi, i pensieri seduto, erano con e per una mia cara… persona. Ha scoperto che il fidanzato le ha mentito per tutto questo tempo. Che ha costruito una relazione fondata sulle bugie e sui segreti. Che si è concessa all’amore aprendo il suo cuore per la prima volta, ad un pezzo di niente, appunto… Succede, vero? Eccome se succede. Ho amiche che sono state ingannate da persone vere / fidanzati finti online, amiche che si sono lasciate andare all’amore con chi il loro amore non lo meritava, amiche che hanno subito violenze da amori tossici, amiche che hanno subito violenze da bugie e promesse che non sono mai arrivate, amiche che hanno subito minacce, amiche che hanno dovuto subire aborti da sole perché abbandonate quando le conseguenze sono lì a verificare chi è uomo e chi no. Amiche perse. Amiche difficili da ritrovarsi, perché quando la fiducia e il cuore si rompono… chi è che ce li ha i trucchetti per rimettere le cose apposto com’erano? Io non di certo. Ma sono lì. E sono qui. Per te.

E di bugie ne ho dette anch’io. E di fiducie ne ho rotte anch’io. E di lacrime quante ne ho viste anch’io… e quanto male ci sto ogni giorno pagando un prezzo che non so mica se sarò in grado di pagare, alla fine… ma sono qui nudo, ora, e sono lì nudo dinanzi ad ognuna di quelle persone a cui ho fatto del male, vero, ora. Perché trucchetti per tornare indietro e rimettere le cose apposto com’erano non li abbiamo, ma abbiamo il potere e la scelta di essere veri e nudi d’ora in avanti per loro… per coloro che amiamo.

Avrei dovuto scrivere la scorsa notte ma non so perché non l’ho fatto. Tornando dalla passeggiata; al chiarore della luna, all’andare delle nuvole, al suono delle cicale. Le cicale. Conosco una storia a proposito delle cicale. Me la raccontava sempre mio padre da piccolo.

Che fai, come le cicale?

Perché? Che fanno le cicale?

Non lo sai che fanno?

No.

Cantano, cantano. Belle cantano tutta l’estate. Poi arriva l’inverno e muoiono. E sai perché?

Perché?

Perché cantando si sono dimenticate di mettere il cibo da parte. Invece le formiche…

Le cicale… avrei dovuto parlarne ieri sera. Avrei saputo descriverle meglio, avrei saputo descrivere meglio come mi sentivo. Oggi invece è un altro giorno. Oggi invece fuori c’è silenzio e la notte è buia. Quelle nuvole dopotutto stavano arrivando, non andando. Oggi invece è un altro giorno e pensavo, che in fondo il silenzio è ovunque attorno a noi. Basta fare un passo e uscire dai pensieri. Basta solamente fare un passo e uscirne. Eppure come ci illudiamo che la notte gioca il suo, che la montagna gioca il suo, che la solitudine gioca il suo, che il mare, che l’oceano, che una spa, che un viaggio, che un abbraccio, che un orgasmo, gioca il suo… quanto basterebbe solamente fare un passo e uscirne.

Che pace.

Sono le 10.30 mentre scrivo.

Credo che la maggior parte delle scuole in Italia, così come anche nel resto di molti altri paesi Occidentali, abbia riaperto. Questo sarebbe l’orario della merenda, dico bene? 10/10.15 – 10.15/10.30 più o meno. Penso a quanti scambi di parole ci saranno in questo esatto momento in tutte quelle scuole. Parole di racconti, parole di presentazioni, parole di gioia, parole di memorie d’estate, parole di memorie di quarantena, parole, parole, parole… che belle. Poi non so se i telefoni sono proibiti o meno ora, io non ce lo avevo ma comunque, anche quando poi si, non lo portavo mai, per cui… non mi ha mai distratto… mi distraevano i pensieri e il guardare fuori dalla finestra, le amiche e le sigarette, le sigarette speciali e il vino, a volte, il parlare e il parlare a bassa voce, il tempo rimasto affinché il panino sul termosifone diventasse caldo… e così era un po’ per tutti. Quelle erano le distrazioni. Con te stesso o con gli amici. Chissà se ora invece sono consentiti o no i telefoni, spero di no perché altrimenti quella magia è bella che andata. E considerando come i tempi sono cambiati sicuramente lo sono (consentiti). Me le immagino già le proteste se la scuola si permettesse di dire NO AI TELEFONI! E se succede qualcosa? Che cazzo deve succedere se ormai il cervello ce lo abbiamo già bruciato? Altro che canne… magari! Ciò non vale solo per i ragazzi eh, è sottointeso.

Paolo, che parli a fare di queste cose se i tempi ormai sono cambiati?

Infatti! Ma era solo un pensiero il mio. Così, mentre faccio pausa caffè.

E torna al lavoro ja’! Che è già durata mezz’ora sta’ pausa!

Rido mentre da solo mi do torto, e nel frattempo disattivo l’account di Instagram. Il viaggio del libro “In Quarantena” è finito. Ho seminato abbastanza e ho raccolto i frutti. Sono arrivato in tanti angoli d’Italia e in tanti angoli del mondo. Sono arrivato in India, in Svezia, in Korea, in Giappone, negli USA, in Canada, in Spagna, in Inghilterra, in Iraq, in Cina, in Messico, in Bulgaria, in Svizzera, in Thailandia, nella Costa d’Avorio, nel Suriname… sono arrivato in molti più computer e in molti più cellulari e in molte più librerie in casa di quanto potessi anche solo immaginare. Sono felice. Sono davvero felice. E sento che era questo il momento di voltare pagina perché era adesso che cominciavo invece ad appassionarmi alle cose più che alle parole. La gente cominciava a chiedermi più della macchina che guidavo che del pensiero che scrivevo, più del vestito che indossavo che di quello che volevo dire denudandomi, più del prezzo che della storia… e cominciava a piacermi. Non voglio innamorarmi delle cose della vita che distruggono l’uomo. L’ho già fatto, ne conosco i risultati. Quelle cose sono come i Mandala, non durano e vanno distrutte, per ricordarcelo. Ora invece è tempo di creare e poi rinascere, per poter dare un nuovo messaggio a chi in futuro mi conoscerà, a chi mi ha appena conosciuto, a chi mi conosce da sempre e a chi conta su di me…

e a me.

Ho re-imparato una cosa in questi due giorni. Una cosa che può sembrar banale ma che ci fa fessi così tante volte che in fondo forse non lo è; perché non importa a che ora (ovvero quando) facciamo una determinata cosa, l’importante in fondo è farla. A volte lasciamo farci schiavi da questa cosa che non esiste, da questa cosa che non esiste chiamata tempo. E se non esiste allora, da chi lasciamo in fondo farci fare schiavi? Da quella maledetta vocina nella testa che sentiamo nei momenti più deboli. Ne ho già parlato nel libro “In Quarantena” a proposito; di come credo che in realtà noi non siamo la nostra mente, ma di più. Perché riusciamo a estraniarci dai pensieri quando arrivano, e a osservarli da lontano. E allora come facciamo ad essere loro? Siamo altro. E quando “noi altro” siamo più deboli però, ecco che quei pensieri ci fanno credere che siamo loro. Ecco che la mente si fa gioco di noi e vince. Ed ecco che ci ritroviamo giorni dopo ad aver procrastinato su qualcosa che sappiamo avrebbe cambiato il corso della nostra storia… e del nostro presente. E basta davvero poco per andare fuori carreggiata. Un’ora in più la notte svegli, un’ora in più al mattino a letto. Mezz’ora in più al telefono, 15 minuti in meno con i nostri partner a parlare. 5 minuti in più a discutere e a sparare raffiche di parole d’odio, due minuti in meno con nostro figlio perché siamo di fretta. Un minuto in più a correre in macchina, trenta secondi di meno in un abbraccio. Due secondi in più a tenere il broncio, un secondo di meno a tendere la mano per dare un aiuto. Questa cosa chiamata tempo che non esiste e ch’eppure è sempre presente. Come gioca, con noi, vero? Eppure se solo agissimo si annullerebbe all’istante. Puff! Come per magia, just like that. E invece… procrastiniamo. E invece… lasciamo buttarci a terra e vincere, da cosa poi?

Hai presente le giornate in cui ti svegli dal lato sbagliato del letto? Quelle giornate in cui sbatti il mignolino del piede vicino alla sedia appena ti svegli? Quelle giornate in cui incastri chissà come l’unghia del dito nella fessura della porta, che ti cade il porta-dentifricio mentre stai per prendere lo spazzolino. Che senza un motivo sei arrabbiato. Che andando al lavoro trovi difronte solo gente che guida come animali. Che trovi chi sputa e lo noti di più, chi starnutisce sulla gente togliendosi la mascherina. Chi corre e non si ferma allo stop. Chi vuole romperti le palle proprio in questo giorno in cui va così… ce l’hai presente? Quelle mattine in cui persino il caffè ti va di traverso… Sì? Beh, così è stato questo giorno. Anche se, a fine giornata, dei messaggi da parte di chi abitualmente mi legge mi hanno tirato su il morale. Purtroppo non ce l’ho fatta a rispondere a nessuno di loro… ma vi ringrazio. “Silenziosamente” avete fatto tanto. Con un solo giorno di ritardo in cui non ho scritto, senza saperlo avete fatto tantissimo.

Davvero in questo mondo siamo interconnessi più di quanto immaginiamo… davvero.