Mi sono svegliato con un ricordo in testa questa mattina e sento che voglio condividerlo con voi. Questo ricordo mi ha riportato indietro a forse nove anni fa. Ero in un momento “molto perso” della mia vita; vivevo passando da un eccesso all’altro e sembrava lo stessi facendo da così tanto tempo che era diventata quella la mia realtà ormai, il mio equilibrio. Mi trovavo in una spirale di dipendenze che continuava a rompermi in qualche modo, pezzo dopo pezzo. Non dormivo per più notti consecutive più a lungo di quanto si dovrebbe, uscivo ogni giorno, cercando di essere costantemente impegnato più del dovuto, mi allenavo e correvo ogni sera più di quanto il corpo potesse sopportare, uscivo, più di quanto il respiro potesse sopportare. Ero in uno stato di permanente accelerazione e sentivo… e sapevo… che dovevo fermarmi perché stanco. Ma me ne accorgevo solo quando all’improvviso mi ritrovavo all’interno di un supermercato senza alcuna idea di come fossi arrivato lì, con una lista di cose da comprare nella testa svanita, e la musica, e le luci, e le voci, di chi passava attorno e affianco. Uscivo poi da lì senza comprare nulla in quei casi. Perso. Con la testa completamente blank, vuota. Iniziavo col pensare che c’era qualcosa che non andava con me, che c’era qualcosa che non andava dentro di me. Che avevo qualche problema. Ma mi stavo semplicemente rompendo, pezzo dopo pezzo. Potevo rimettere le cose insieme? Potevo aggiustarmi? Non ne avevo idea! E nel momento in cui cominciavo col chiedermelo, quei pensieri svanivano e si volatilizzavano nello stesso modo e con la stessa velocità in cui erano arrivati e materializzati. E la giostra continuava a girare. Uscivo di più, dormivo di meno, correvo di più, riposavo di meno, mangiavo di più, mangiavo di meno, non mangiavo affatto. Forse soffro d’insonnia, pensavo. La realtà cominciava con il sembrare surreale. Le notti non passavano mai, i giorni sembravano infiniti. Ci si mise la noia anche di mezzo e allora più veloce, facevo il doppio. E poi il triplo. Ma eventualmente anche quello cominciava a darmi noia. Eventualmente anche per quelle cose perdevo il gusto… ero pieno di vita ma nel senso negativo. Nel senso di disgustato. Così pieno che ero pronto a vomitare… ma non avevo il coraggio di mettere quelle due dita in gola.

Mi ritrovai in un altro stato di vuoto un giorno, come capitava spesso che mi ritrovavo nei supermercati, ma in una via deserta quella volta, al centro della strada. Come ci ero finito lì? Non ne avevo idea. Ma continuai a camminare ancora, non curante delle macchine che potevano passare ma che non passarono. Alla fine di quella strada intravidi una croce, una Chiesa. Era da tanto che non ne vedevo o che non ne entravo in una. Era da tanto che non pregavo neanche, a dir la verità. Così decisi di farlo. Un senso di liberazione mi avvolse non appena misi piede in quel portone. Tutto mi scivolò di dosso. Quell’odore d’incenso mi entrò nelle narici e dentro il corpo e quel senso di pienezza disgustoso di vita uscì fuori. Lincenso divenne quelle due dita. Cominciai a piangere. Cominciai a piangere e decisi di sedermi all’ultimo banco in fondo ed è allora che cominciai a vedere quel silenzio, e a sentire quella pace.

Un uomo mi si avvicinò. Mi si sedé vicino e mi chiese: cos’è che vuoi?

Non capì. Lui ripeté.

Cos’è che vuoi?

Dopo un momento di silenzio risposi… “Pace… felicità”.

Allora abbi pace e sii felice”.


E tu? Cos’è che vuoi? Te lo sei mai chiesto?

Col tempo ho capito che non ce lo chiediamo abbastanza e perciò ci ritroviamo persi. Ma dovremmo cominciare a farlo… a chiedercelo…

Tu, cos’è che vuoi?

Rispondere a questa domanda potrebbe davvero cambiare il corso delle nostre vite. Un piccolo momento di riflessione per rispondergli è quanto basta… un po’ come per le navi. Che con un piccolo movimento per volta cambiano completamente rotta. Ecco, fa quel primo movimento. Risponditi.

Tu, cos’è che vuoi?

Alle 3.30 ho aperto gli occhi. Mi sono alzato subito, senza perdere tempo e senza dargli il tempo, ai ripensamenti. Mi sono rinfrescato, preparato acqua calda, limone e miele e ne ho bevuto una tazza. Ne ho portata poi una a Coral. Ho preparato la mia palestra e senza accendere la luce, sotto il riflesso del cielo e al ritmo della pioggia, ho fatto un po’ di Yoga e meditato. Diventato tutt’uno con la notte così tanto, che non ricordo se ho respirato nemmeno. Poi ho riaperto gli occhi e ho sentito… 

What did you do as child that created timelessness that made you forget time? There lies the myth to live by.

Sono parole di Joseph Campbell, un professore di letteratura americano.

Cos’è che facevi da bambino, che creava atemporalità e che ti faceva dimenticare del tempo? Lì risiede il mito da vivere.

11 Settembre. Che data. E non è di certo l’unica, ovvio, (e purtroppo), ma è una di quelle che ricordo bene. Sarà per l’impatto che ha avuto nella società occidentale americana, sarà per l’età che avevo, sarà che stavo guardando il wrestling e ricordo di come all’improvviso interruppero la trasmissione per dare la notizia… ma ancora la ricordo. E probabilmente anche tu. E probabilmente la maggior parte della popolazione mondiale. Ma probabilmente col tempo svanirà ugualmente, e comunque, non appena qualcos’altro succederà. Così come sono svanite o stanno svanendo le date per ricordare l’olocausto degli Ebrei, l’olocausto degli Armeni, la diga tossica in Brasile nel 2015, il genocidio in Russia, in Cina, in Indonesia, in Cambogia, in Africa, in Korea del Nord, in Haiti… Troppo? Ok! Abbassiamo l’intensità… L’isola di spazzatura visibile dai satelliti nel cuore del Pacifico, Fukushima, la terra dei fuochi, tutte le acque inquinate dal petrolio, Chernobyl, la guerra in Afghanistan e in Iraq, le guerre silenziose che continuano ad esserci ma che non fanno notizia… e noi cazzo siamo preoccupati a fare una bella foto al cappuccino che ha la forma del cuore sopra, per poterla postare su Instagram. E non c’è niente di male eh, prego, continua pure. Soltanto pensavo, così tra me e me, a quanto ridicoli siamo diventati. Non che dovremmo piangere tutto il tempo, no. Non sto dicendo quello. Quello che sto cercando di dire è che dovremmo davvero ricominciare a vivere, piuttosto che stare a sentire un mondo che ci vuole consumatori e che continua a inculcarci idee sull’auto miglioramento, sulla crescita personale, sul segreto della felicità e del successo. Davvero non vediamo che è la stessa bocca che ci inculca il fatto che non siamo mai abbastanza? Davvero non vediamo che è la stessa bocca che ci inculca il sentirci inadeguati in primo luogo? Davvero?!

Ma non ci pensare ora! Che è sabato!

Sto sorridendo in questo momento che sto cominciando a scrivere. Perché non ho nulla da dire eppure ho aperto il computer per farlo. Mi viene in mente una canzone di Vasco Rossi che fa: “ma le canzoni/ son come i fiori, nascon da sole/ e sono come i sogni e a noi non resta/ che scriverle in fretta/ perché poi svaniscono/ e non si ricordano più”, se conosci la canzone probabilmente ti sta ritornando in mente anche il ritmo. Bellissima! Ed è così. Le canzoni, le poesie, le opere, le parole, sono come i sogni, vanno scritte e dipinte e dette in fretta perché poi svaniscono. Quante cose che abbiamo perso perché non colte al momento giusto. Quante cose che ho perso…

Non so come andrà questa giornata. Oggi nella lista di cose da fare ci sono cose più “interattive” … andare in ospedale con Coral alle 8.00 (e sono già le 8.16!), controllare, sistemare e prendere appuntamento con l’ambasciata, prenotare la mia visita medica e cominciare a fare i documenti che ci vogliono, passare per la banca (perché ho ricevuto un messaggio in cui mi dicono che ho troppi soldi e dobbiamo vedere come fare per fare spazio a quelli degli altri clienti), finire di mandare delle email, andare in palestra, magari mangiare qualcosa e poi ricordarmi che ho una cena con delle amiche nell’altra parte della città… mah, tutto sommato ricapitolando e mettendo nero su bianco aiuta. Pensavo peggio e invece… si può fare.


In questo preciso momento mi sono distratto con un messaggio che ho ricevuto e ritornando a ciò che stavo scrivendo, avevo deciso di cancellare tutto e di scrivere: pagina bianca; come ho fatto in passato. Ma ho deciso di lasciarlo… mentre ugualmente sorrido perché il messaggio era da parte di un amico che so che sta aspettando ansiosamente che parlo di lui. Lo vedo già mentre sorride mentre ora legge… sì. Perché ieri sera, passeggiando, mi è capitato di vedere in una via buia, lontana dalle luci della metropoli, tre anziani passeggiare, chiacchierare e ridere. Gli ho fatto una foto da lontano e l’ho mandata a questo amico. Per ricordargli quando anche noi, da piccoli, lontani dalle luci della metropoli (che poi era un paese ma dire metropoli fa più figo!) passeggiavamo, chiacchieravamo e ridevamo. Come sarebbe bello poterlo rifare ora. Chissà di cosa parleremmo… magari delle nostre vite di coppia, ora, magari del lavoro, magari dell’adolescenza, magari delle mogli, magari delle amanti, magari di cazzate o magari del senso della vita. O magari del crescere. Di questo gioco del crescere che coi suoi tranelli a volte, davvero ci mette con le spalle al muro. O magari di niente…

Certe notti, dopo lunghe cene tra persone che in fondo non conosco, dopo lunghe cene “in maschera” tra persone nate in Bentley e Maybach a parlare di come qui, per avere moglie devi garantire cose materiali come la macchina o la casa, davvero la voglia di poter spendere un’altra sola notte tra la mia gente è tutto ciò che vorrei… sarà che noi siamo nati in una Fiat 500?! In una Fiat Punto!? Non credo…

Credo sia il gioco del crescere.

ti voglio bene

Stamattina non ho fatto nessuna delle cose che faccio di solito; non mi sono allenato, non ho meditato, non ho letto, non ho preparato la colazione, non ho preparato il caffè, non mi sono neanche svegliato alle 4.30, ora che ci penso. Mi sono svegliato intorno alle 3.30 la prima volta, già riposato. Col senno di poi sarei dovuto restare sveglio da allora ma non l’ho fatto, sono ritornato a dormire. Ho riaperto gli occhi alle 4.30, poi alle 5, poi alle 6 e poi alle 6.30 quando ho finalmente deciso di alzarmi. Mi sono sentito più stanco in questo ciclo di aprire e chiudere gli occhi che quando mi sono alzato la prima volta alle 3.30. È uno di quegli errori che faccio quando quella sensazione mi prende… quale? Non ne ho idea! Quella sensazione di “noia”, di “chi me lo fa fare”, di “stanchezza” … di scuse. Perché alla fine quello sono, scuse. Ma va bene. Ho sempre detto che non credo in una vita lunga ma larga, e con quello intendo anche questo; che preferisco e credo più agli alti e ai bassi piuttosto che a una diritta linea lunga. È così. E sorrido adesso, pensando a come la risposta a una domanda che mi è stata fatta ieri, mi sta arrivando soltanto ora (in testa). Come fai? Mi è stato chiesto. “Come fai a fare le cose che fai? Svegliarti presto, meditare, allenarti, leggere, scrivere, fare le cose che devi fare nella giornata, allenarti di nuovo, avere tempo per gli amici, avere tempo per la famiglia, avere tempo per le vacanze, avere tempo per pubblicare libri… come fai?”.

Considerando come è andata stamattina direi che questa persona mi ha preso “a occhi”! Che per chi mi sta leggendo da fuori la regione Campania non so se ha senso questa espressione ma non saprei come dirla in italiano, per cui mi scuso in anticipo ma dovete andare cercarla online :p  – cosa vuol dire prendere a occhi –

Come fai?

La verità? Sarebbe bello dirti che è la passione, la motivazione della vita, il fuoco dentro, il successo del pensare positivo, il segreto, il circondarsi di persone sorridenti, di ambienti favorevoli, di sorrisi sotto al cielo blu e bla bla bla… ma in realtà no. In realtà non è così. Certo, tutte quelle cose aiutano, ma alla fine poi cos’è che resta? Alla fine poi, chi è che resta?

Tu.

Con i tuoi alti e bassi. Con i momenti di successo, felice, e con i momenti di merda, a pezzi. Con i momenti “up”, eccitato, e con i momenti “down”, annoiato e stanco a morte. Per cui come fare?

Accettando.

Accettando non solo i momenti up ma anche e soprattutto i momenti down. Ricalibrando le tue giornate in base a quello. Sei “su”? Conquista tutto quello che puoi. Sei “giù”? Ricalibra, non pensare a ieri, e conquista piccole cose oggi. Una pagina di diario, in questo caso per me, è sufficiente. Evitare il dolce a pranzo magari, un’altra conquista. Fare una telefonata, una sola, in più, al lavoro, altra conquista. 15 min di corsa in palestra stasera? Tanto meglio. Anche solo una passeggiata stasera con tua moglie/tuo marito/col tuo cane? Perfetto! Chiudere il telefono prima stasera così riposo meglio e mi sveglio più fresco domani? Deal! Affare fatto! Piccole conquiste nei giorni di merda. Piccole conquiste nei giorni di noia e di scuse… accettandoli quei giorni… perché ci sono. Ecco come faccio.

“Show up” si dice in inglese. Show up and keep showing up. When you feel like it and when you don’t feel like it… especially when you don’t feel like it, aggiungerei.

Non so come tradurlo in italiano. “Showing up”; apparire, presentarsi, esserci, entrare in gioco, entrare in azione, agire, fare qualcosa… quando te la senti di farla ma specialmente, e “soprattuttamente”, quando non te la senti. Ecco come farai.

alla fine le giornate di merda contano più di quel che immaginiamo.

Non ci pensare.

A cosa?

A quello che ti sta portando così lontano, non ci pensare.

Non ci pensare, dici.

Pensavo a come ero felice una volta, di spendere la notte in bianco a scrivere. Pensavo a quanta soddisfazione sentivo nel cominciare e nel finire, di scrivere. Scrivevo… e poi finivo… e poi da capo, e poi a capo… punto.

Eccola, riesco persino a vederla quella felicità di allora… riesco a vederla, riesco a ricordarla, riesco a toccarla ma non riesco a provarla, ora. Perché? Sono le 3 e non riesco a prendere ancora sonno. Mi sono spostato sul divano, sul puffo ed ora alla scrivania… nulla. Non posso fare a meno di pensare che domani sarà una lunga giornata e se non riposo un po’ sarò stanco a lavoro. Comincio a pensare, e comincio a sentire come l’ansia vuole assalirmi… la stanchezza di domani, la poca reattività che avrò, il mal di testa, magari.

Non ci pensare.

A cosa?

A quello che ti sta portando così lontano, non ci pensare.

Non ci pensare, dici.

Hai ragione. Non devo pensarci perché non voglio pensarci. Perché dovrei? La vita è qui, è ora. Senti che bella la notte. Senti che pace. Senti come queste mani scorrono sulla tastiera, senti il dolce suono dei tasti. Senti che dolce suono che porta la notte con sé. Senti come Coral si rigira nel letto. Senti come la tenda si muove, senti la corrente che passa tra la finestra della camera da letto e quella della cucina. Senti…

Penso che andrò a fare due passi. La luna è alta in cielo, voglio andare da lei.

Alla fine ieri mi è stato chiesto per davvero come sono andate le vacanze, sai? Ma è finita lì. Niente tema e niente 5 intere ore a parlarne. Peccato! 🙂

Martedì. Oggi nel mio paese dovrebbe esserci il mercato in strada e se la memoria non mi inganna nel mio quartiere dovrebbe addirittura esserci la festa di Santa Maria. Ma questa informazione non è accurata per cui non crederci troppo. Non ho chiamato ancora mia madre per chiederglielo; lo farò più tardi. Però mi piace soffermarmi su quei ricordi. Su quei ricordi di me e i miei amici da piccoli, dell’aria di festa in casa, della processione, della passeggiata tra le bancarelle la sera e delle giostre. Dei fuochi d’artificio a mezzanotte. Dell’accompagnare la mia ragazza a casa dopo che la polizia toglieva le transenne, o di quando da cresciuti non c’era bisogno di accompagnarla più. In verità si, ma non eravamo proprio dei figli modello per cui… Spero di ricordarmene un giorno se mia figlia non tornerà a casa per stare col fidanzatino, di quella pazienza e di quella forza che ci vogliono e che a quell’età non si possono capire. Mi viene in mente poi ora che con il tempo ha cominciato a non piacermi più quella festa. Ha cominciato a stancarmi o semplicemente ha cominciato ad arrivarmi la stanchezza di quelle persone che ne parlavano male e che ne erano stanchi… può essere. O semplicemente da lontano il quadro dei ricordi è dipinto sempre un po’ “meglio” coi colori della fantasia piuttosto che con quelli della realtà. Chissà. Ma mi piacerebbe stasera poter andare a messa con i miei genitori, passeggiare poi dopo, prendere due noccioline, dividerci un panino e magari bere della vodka o dello champagne a casa parlando, aspettando i fuochi… e poi andare a dormire.

Mi piacerebbe stasera.

Empty conversations, conversazioni vuote. – Di recente ho sentito questa espressione più di una volta.

Cercavo un posto tranquillo dove andare a scrivere in pace; magari con un buon caffè, magari con l’aria condizionata non troppo forte, magari senza troppe persone. Pensavo al classico Starbucks ma lì la musica è altissima e si gela. In biblioteca? Non volevo quel tipo di silenzio. Al parco? Troppo caldo! E poi troppe zanzare! Scegliendo e scartando le varie opzioni nella testa, gironzolando sullo scooter, a un tratto sapevo dove andare. C’era una libreria qualche quartiere più lontano dal mio con un bar carino al suo interno e tranquillo, ricordavo; con un tavolo che dava le spalle alla finestra che equilibrava perfettamente la temperatura di dentro dell’aria condizionata e la temperatura di fuori del sole. Perfetto! Era tanto che non ci andavo e quella scelta poteva andare. Mezz’oretta dopo arrivo ma, chiuso! Aprono alle 10.30! Erano le 8.13. Porca miseria! Dove potevo andare? Il mood era anche andato ormai e non ne avevo idea. Così decido di sedermi lì, su di una panchina all’interno del quartiere. Magari aspettando, magari riposando soltanto, (dato che faceva caldo ed ero già tutto sudato), magari perdendo tempo. Il mood, come dicevo, era andato per cui, che importanza aveva. Mi sono messo a guardare attorno. Le case. Le strade. Quelle poche persone che passavano. Poi ho sentito qualcuno cantare (in cinese ovviamente). Poi ho sentito qualcuno cantare (in italiano questa volta! Non potevo crederci, in italiano?! Qui?! A quest’ora di domenica?!) Cantava una canzone dei Modá. La ricordavo anche. Poi ho sentito qualcuno cantare in spagnolo! E poi in francese! E poi di nuovo in cinese. Non potevo crederci. Allora decido di spostarmi per vedere da dove proveniva quel canto e attorno a un grande albero vedo un ragazzo apparentemente non troppo… come dire… “normale” … (ma chi lo è in fondo?… intanto questo sapeva quattro lingue! O quattro canzoni in quattro lingue differenti, quantomeno). Così mi siedo lì in modo che possa vederlo e sperando che lui possa vedere me. Ed ecco che proprio mentre riprende a cantare in italiano, si gira e guarda nella mia direzione. Ci guardiamo negli occhi per un secondo soltanto. Si ferma col girare attorno all’albero. Si ferma col cantare, anche. Poi mi fa un cenno. Rispondo con un altrettanto cenno e un sorriso e poi: “sai cantare?” mi chiede (in italiano!). “A modo mio, sì”, gli rispondo. Allora mi fa segno di unirmi a lui e così cominciamo entrambi a camminare (quasi come in una danza seguendo un ritmo ben preciso) intorno all’albero e a cantare: Ciao/ semplicemente ciao/ difficile trovar parole molto serie/ tenterò di disegnare… come un pittore!

Meglio questo che conversazioni vuote” mi dice poi, continuando a cantare e a danzare intorno a quell’albero. Meglio questo che conversazioni vuote.

Mettiamo sempre interamente noi stessi nelle conversazioni che facciamo o parliamo tanto per parlare? E mettiamo sempre interamente noi stessi quando ci parlano, nell’ascoltare, o solo aspettiamo? Chuck Palahniuk in un suo libro scriveva: “When people think you’re dying, they really, really listen to you, instead of just waiting for their turn to speak”, è quando le persone pensano che stai morendo che davvero, davvero ti ascoltano, invece che stare ad aspettare il loro turno per parlare. Noi aspettiamo? O ascoltiamo? Perché non so se lo sai ma in fondo se siamo ancora vivi stiamo anche già morendo, non trovi? Come facciamo a sapere che quel “ciao” detto di fretta, quel “si mamma ok. Non rompere!”, quel “sì, dopo ne parliamo, papà. Non ora!”, non siano le ultime cose che diremo a quelle persone? Se siamo ancora vivi stiamo anche già morendo e così anche loro, sai? Conversazioni vuote. Evitiamole. Meglio danzare intorno a un albero. Meglio cantare. Meglio ascoltare. Meglio stare in silenzio, ma insieme.

Conversazioni vive.

Lunedì, 6 Settembre 2021. Si torna al lavoro. Si torna a scuola. È la prima volta che mi ritrovo in questa “coincidenza” da quando sono qui. Nella coincidenza di riprendere a lavorare i primi di settembre, di pari passo con la riapertura delle scuole. Questo perché da quest’altra parte del mondo, agosto, è un mese come gli altri. Non ci sono “vacanze estive” e non c’è il ferragosto. Così come non c’è il Natale o la Pasqua. Non mi piaceva la cosa inizialmente ma col tempo ho imparato ad apprezzarla. Ora davvero posso capire cosa vuol dire sentirle dentro le festività. Prima era solo un susseguirsi di abitudini, ora invece… è festa davvero. Dentro me.

Lunedì, 6 Settembre 2021. Sono in metro mentre scrivo questa pagina di diario. Come al solito è piena. C’è chi ancora ne approfitta per dormire un po’, chi sta al telefono, chi è già incazzato, chi è già stanco. Questa pioggia che continua a cadere ininterrottamente da due mesi poi non aiuta. Dicono che è da anni che non pioveva così tanto a Pechino. Ci sono addirittura stati dei morti in questi mesi per la quantità di acqua caduta. Immagino sia un modo per ricordarci che qui niente contiamo e niente controlliamo. Serve ogni tanto, anche se fa male. A quelle famiglie starà facendo ancora più male, immagino, e non saranno di certo d’accordo con me. Hanno ragione.

Lunedì, 6 Settembre 2021. Al ritorno dalle vacanze a scuola, le maestre sempre chiedevano di scrivere e raccontare cosa avevamo fatto durante le vacanze… chissà se anche oggi il capo mi chiederà la stessa cosa. Chissà se anche oggi i vostri capi, vi chiederanno la stessa cosa.

Leggevo di come generalmente le cose che danno piacere all’istante sono le cose che poi fanno male nella corsa a lungo termine. Una sigaretta ora, un dolce adesso, una notte di sesso non protetto al bar, un pomeriggio sul divano piuttosto che mezz’ora in palestra… e questo perché il nostro cervello è fatto più per una soddisfazione istantanea che una in ritardo. È così dai tempi dell’homo sapiens sapiens; tempi in cui ogni scelta aveva un’immediata conseguenza. Per intenderci, se non uscivi subito per andare a caccia era troppo tardi! Ora invece il nostro cervello è sempre lo stesso ma indovina cosa… il mondo in cui siamo no! Se non usciamo per andare a correre non è troppo tardi perché possiamo andare lunedì; la soddisfazione istantanea dello stare sul divano è “più forte” e “più grande” della soddisfazione di un anno di corsa che serve per perdere peso e sembrare più atletici. Così come la soddisfazione di un nuovo paio di scarpe è “più forte” e “più grande” del (forse) avere un salvadanaio più grande per i momenti di pioggia in futuro. Allora come fare? C’è un trucchetto secondo questi studi che leggevo, ovvero dare alla scelta giusta del momento un piccolo premio immediato così da illudere il cervello che la soddisfazione è istantanea anche per quella scelta. Esempio: quando sei tentato dalla voglia di comprare quel nuovo paio di scarpe, metti in una cassa a parte quei mille euro, così che puoi comprare in futuro poi quella giacca che ti piace tanto da cinque mila. Non comprare quelle merendine quando vai al supermercato, metti da parte quei soldi in una nuova cassa, così da poter comprare l’iPhone 13 che uscirà a settembre. Quando stai pagando per le sigarette non prendere la solita stecca, ma compra cinque pacchetti invece, e metti il restante dei soldi in una nuova cassa per comprare una nuova macchina a fine anno. Il trucchetto funziona eh, è studiato e provato… dopotutto basta che si compra.

Ora, non so se hai capito l’ironia delle mie parole o se devo spiegarlo… non saprei neanche come farlo. Però certo che funziona la cosa, il trucchetto, è così! Solo che mi viene da ridere… “perché ci siamo innamorati di tutte le cose della vita che distruggono l’uomo”, mi viene in mente. Perché? E mi viene in mente questo un po’ con rabbia se penso a quell’uomo che conosco, che non ha comprato una grande macchina al momento per sé ma due più piccole, così da soddisfare i bisogni di tutta la famiglia. E mi viene in mente questo un po’ con rabbia se penso a quell’uomo che conosco, che non ha fatto tutto in nero per potersi permettere un viaggio ai Caraibi ma ha messo il sangue e il sudore sulla carta, per garantire invece i viaggi a chi ama, non viaggiando lui mai. E mi viene in mente questo un po’ con rabbia se penso a quanto credito date a persone lontane che non vi conoscono e non conoscete nemmeno, per vite di successo, quando poi chi vi sta attorno di successo, non riuscite nemmeno a vederlo. Mi viene in mente questo un po’ con rabbia perché prima di leggere libri o guardare film dovreste aprire gli occhi e guardare a quelle vite che vi stanno attorno, perché probabilmente se state leggendo queste parole su di un computer o su di un telefono non è grazie a me, o grazie ad Elon Musk, o nemmeno grazie a Ronaldo. Se lo state facendo è perché qualche stronzo (anonimo) ha preso una decisione in un momento non per sé ma per un bene più grande. Ma noi non vediamo… ma noi non vediamo.

Sono le 5:53 di domenica mattina. Ho meditato, mi sono allenato, ho letto, ho fatto colazione e mi sono messo qui a scrivere. Ho dato dell’acqua calda con miele a Coral, l’ho baciata, le ho aggiustato la coperta e tra poco mi metterò a finire una cosa di lavoro. Ogni singola scelta che facciamo ha un prezzo, ogni singola scelta che facciamo ha una conseguenza.

Ps

Avevo finito di scrivere ma forse dovevo esprimermi meglio. So che se mi stai leggendo conosci come con le parole seguo i pensieri e quindi conosci come nel mio stile passo da un viaggio all’altro. Ma voglio spiegarmi meglio su quello che ho detto nel caso è la prima volta che ti trovi qui. Quindi aggiungo una nota. Mentre leggevo stamattina di quella cosa dell’homo sapiens sapiens mi è venuto in mente cosa invece ho visto in settimana (e non visto per la prima volta purtroppo): un figlio disprezzare e parlare male dei propri genitori perché non capaci di comprargli le cose di marca (come ce li hanno gli amici) che vuole… di cui pensa ha bisogno. E mi è venuto in mente di quante famiglie fanno sacrifici e si tolgono il pane e i desideri solo per comprare il telefono o pagare l’università ai figli. O un viaggio. O una bicicletta. O un motorino. O un cazzo di cappello. E ho pensato poi a quanto tutto è diventato un comprare. Viviamo per comprare, lavoriamo per comprare. Addirittura rubiamo agli uni e agli altri (e rubare gli uni agli altri è la cosa più disgustosa che ci possa essere), solo per poi poter fare cosa? Comprare. Ovviamente.

Perché ci siamo innamorati di tutte le cose della vita che distruggono l’uomo?