11 Settembre. Che data. E non è di certo l’unica, ovvio, (e purtroppo), ma è una di quelle che ricordo bene. Sarà per l’impatto che ha avuto nella società occidentale americana, sarà per l’età che avevo, sarà che stavo guardando il wrestling e ricordo di come all’improvviso interruppero la trasmissione per dare la notizia… ma ancora la ricordo. E probabilmente anche tu. E probabilmente la maggior parte della popolazione mondiale. Ma probabilmente col tempo svanirà ugualmente, e comunque, non appena qualcos’altro succederà. Così come sono svanite o stanno svanendo le date per ricordare l’olocausto degli Ebrei, l’olocausto degli Armeni, la diga tossica in Brasile nel 2015, il genocidio in Russia, in Cina, in Indonesia, in Cambogia, in Africa, in Korea del Nord, in Haiti… Troppo? Ok! Abbassiamo l’intensità… L’isola di spazzatura visibile dai satelliti nel cuore del Pacifico, Fukushima, la terra dei fuochi, tutte le acque inquinate dal petrolio, Chernobyl, la guerra in Afghanistan e in Iraq, le guerre silenziose che continuano ad esserci ma che non fanno notizia… e noi cazzo siamo preoccupati a fare una bella foto al cappuccino che ha la forma del cuore sopra, per poterla postare su Instagram. E non c’è niente di male eh, prego, continua pure. Soltanto pensavo, così tra me e me, a quanto ridicoli siamo diventati. Non che dovremmo piangere tutto il tempo, no. Non sto dicendo quello. Quello che sto cercando di dire è che dovremmo davvero ricominciare a vivere, piuttosto che stare a sentire un mondo che ci vuole consumatori e che continua a inculcarci idee sull’auto miglioramento, sulla crescita personale, sul segreto della felicità e del successo. Davvero non vediamo che è la stessa bocca che ci inculca il fatto che non siamo mai abbastanza? Davvero non vediamo che è la stessa bocca che ci inculca il sentirci inadeguati in primo luogo? Davvero?!

Ma non ci pensare ora! Che è sabato!

Sto sorridendo in questo momento che sto cominciando a scrivere. Perché non ho nulla da dire eppure ho aperto il computer per farlo. Mi viene in mente una canzone di Vasco Rossi che fa: “ma le canzoni/ son come i fiori, nascon da sole/ e sono come i sogni e a noi non resta/ che scriverle in fretta/ perché poi svaniscono/ e non si ricordano più”, se conosci la canzone probabilmente ti sta ritornando in mente anche il ritmo. Bellissima! Ed è così. Le canzoni, le poesie, le opere, le parole, sono come i sogni, vanno scritte e dipinte e dette in fretta perché poi svaniscono. Quante cose che abbiamo perso perché non colte al momento giusto. Quante cose che ho perso…

Non so come andrà questa giornata. Oggi nella lista di cose da fare ci sono cose più “interattive” … andare in ospedale con Coral alle 8.00 (e sono già le 8.16!), controllare, sistemare e prendere appuntamento con l’ambasciata, prenotare la mia visita medica e cominciare a fare i documenti che ci vogliono, passare per la banca (perché ho ricevuto un messaggio in cui mi dicono che ho troppi soldi e dobbiamo vedere come fare per fare spazio a quelli degli altri clienti), finire di mandare delle email, andare in palestra, magari mangiare qualcosa e poi ricordarmi che ho una cena con delle amiche nell’altra parte della città… mah, tutto sommato ricapitolando e mettendo nero su bianco aiuta. Pensavo peggio e invece… si può fare.


In questo preciso momento mi sono distratto con un messaggio che ho ricevuto e ritornando a ciò che stavo scrivendo, avevo deciso di cancellare tutto e di scrivere: pagina bianca; come ho fatto in passato. Ma ho deciso di lasciarlo… mentre ugualmente sorrido perché il messaggio era da parte di un amico che so che sta aspettando ansiosamente che parlo di lui. Lo vedo già mentre sorride mentre ora legge… sì. Perché ieri sera, passeggiando, mi è capitato di vedere in una via buia, lontana dalle luci della metropoli, tre anziani passeggiare, chiacchierare e ridere. Gli ho fatto una foto da lontano e l’ho mandata a questo amico. Per ricordargli quando anche noi, da piccoli, lontani dalle luci della metropoli (che poi era un paese ma dire metropoli fa più figo!) passeggiavamo, chiacchieravamo e ridevamo. Come sarebbe bello poterlo rifare ora. Chissà di cosa parleremmo… magari delle nostre vite di coppia, ora, magari del lavoro, magari dell’adolescenza, magari delle mogli, magari delle amanti, magari di cazzate o magari del senso della vita. O magari del crescere. Di questo gioco del crescere che coi suoi tranelli a volte, davvero ci mette con le spalle al muro. O magari di niente…

Certe notti, dopo lunghe cene tra persone che in fondo non conosco, dopo lunghe cene “in maschera” tra persone nate in Bentley e Maybach a parlare di come qui, per avere moglie devi garantire cose materiali come la macchina o la casa, davvero la voglia di poter spendere un’altra sola notte tra la mia gente è tutto ciò che vorrei… sarà che noi siamo nati in una Fiat 500?! In una Fiat Punto!? Non credo…

Credo sia il gioco del crescere.

ti voglio bene

Stamattina non ho fatto nessuna delle cose che faccio di solito; non mi sono allenato, non ho meditato, non ho letto, non ho preparato la colazione, non ho preparato il caffè, non mi sono neanche svegliato alle 4.30, ora che ci penso. Mi sono svegliato intorno alle 3.30 la prima volta, già riposato. Col senno di poi sarei dovuto restare sveglio da allora ma non l’ho fatto, sono ritornato a dormire. Ho riaperto gli occhi alle 4.30, poi alle 5, poi alle 6 e poi alle 6.30 quando ho finalmente deciso di alzarmi. Mi sono sentito più stanco in questo ciclo di aprire e chiudere gli occhi che quando mi sono alzato la prima volta alle 3.30. È uno di quegli errori che faccio quando quella sensazione mi prende… quale? Non ne ho idea! Quella sensazione di “noia”, di “chi me lo fa fare”, di “stanchezza” … di scuse. Perché alla fine quello sono, scuse. Ma va bene. Ho sempre detto che non credo in una vita lunga ma larga, e con quello intendo anche questo; che preferisco e credo più agli alti e ai bassi piuttosto che a una diritta linea lunga. È così. E sorrido adesso, pensando a come la risposta a una domanda che mi è stata fatta ieri, mi sta arrivando soltanto ora (in testa). Come fai? Mi è stato chiesto. “Come fai a fare le cose che fai? Svegliarti presto, meditare, allenarti, leggere, scrivere, fare le cose che devi fare nella giornata, allenarti di nuovo, avere tempo per gli amici, avere tempo per la famiglia, avere tempo per le vacanze, avere tempo per pubblicare libri… come fai?”.

Considerando come è andata stamattina direi che questa persona mi ha preso “a occhi”! Che per chi mi sta leggendo da fuori la regione Campania non so se ha senso questa espressione ma non saprei come dirla in italiano, per cui mi scuso in anticipo ma dovete andare cercarla online :p  – cosa vuol dire prendere a occhi –

Come fai?

La verità? Sarebbe bello dirti che è la passione, la motivazione della vita, il fuoco dentro, il successo del pensare positivo, il segreto, il circondarsi di persone sorridenti, di ambienti favorevoli, di sorrisi sotto al cielo blu e bla bla bla… ma in realtà no. In realtà non è così. Certo, tutte quelle cose aiutano, ma alla fine poi cos’è che resta? Alla fine poi, chi è che resta?

Tu.

Con i tuoi alti e bassi. Con i momenti di successo, felice, e con i momenti di merda, a pezzi. Con i momenti “up”, eccitato, e con i momenti “down”, annoiato e stanco a morte. Per cui come fare?

Accettando.

Accettando non solo i momenti up ma anche e soprattutto i momenti down. Ricalibrando le tue giornate in base a quello. Sei “su”? Conquista tutto quello che puoi. Sei “giù”? Ricalibra, non pensare a ieri, e conquista piccole cose oggi. Una pagina di diario, in questo caso per me, è sufficiente. Evitare il dolce a pranzo magari, un’altra conquista. Fare una telefonata, una sola, in più, al lavoro, altra conquista. 15 min di corsa in palestra stasera? Tanto meglio. Anche solo una passeggiata stasera con tua moglie/tuo marito/col tuo cane? Perfetto! Chiudere il telefono prima stasera così riposo meglio e mi sveglio più fresco domani? Deal! Affare fatto! Piccole conquiste nei giorni di merda. Piccole conquiste nei giorni di noia e di scuse… accettandoli quei giorni… perché ci sono. Ecco come faccio.

“Show up” si dice in inglese. Show up and keep showing up. When you feel like it and when you don’t feel like it… especially when you don’t feel like it, aggiungerei.

Non so come tradurlo in italiano. “Showing up”; apparire, presentarsi, esserci, entrare in gioco, entrare in azione, agire, fare qualcosa… quando te la senti di farla ma specialmente, e “soprattuttamente”, quando non te la senti. Ecco come farai.

alla fine le giornate di merda contano più di quel che immaginiamo.

Non ci pensare.

A cosa?

A quello che ti sta portando così lontano, non ci pensare.

Non ci pensare, dici.

Pensavo a come ero felice una volta, di spendere la notte in bianco a scrivere. Pensavo a quanta soddisfazione sentivo nel cominciare e nel finire, di scrivere. Scrivevo… e poi finivo… e poi da capo, e poi a capo… punto.

Eccola, riesco persino a vederla quella felicità di allora… riesco a vederla, riesco a ricordarla, riesco a toccarla ma non riesco a provarla, ora. Perché? Sono le 3 e non riesco a prendere ancora sonno. Mi sono spostato sul divano, sul puffo ed ora alla scrivania… nulla. Non posso fare a meno di pensare che domani sarà una lunga giornata e se non riposo un po’ sarò stanco a lavoro. Comincio a pensare, e comincio a sentire come l’ansia vuole assalirmi… la stanchezza di domani, la poca reattività che avrò, il mal di testa, magari.

Non ci pensare.

A cosa?

A quello che ti sta portando così lontano, non ci pensare.

Non ci pensare, dici.

Hai ragione. Non devo pensarci perché non voglio pensarci. Perché dovrei? La vita è qui, è ora. Senti che bella la notte. Senti che pace. Senti come queste mani scorrono sulla tastiera, senti il dolce suono dei tasti. Senti che dolce suono che porta la notte con sé. Senti come Coral si rigira nel letto. Senti come la tenda si muove, senti la corrente che passa tra la finestra della camera da letto e quella della cucina. Senti…

Penso che andrò a fare due passi. La luna è alta in cielo, voglio andare da lei.

Alla fine ieri mi è stato chiesto per davvero come sono andate le vacanze, sai? Ma è finita lì. Niente tema e niente 5 intere ore a parlarne. Peccato! 🙂

Martedì. Oggi nel mio paese dovrebbe esserci il mercato in strada e se la memoria non mi inganna nel mio quartiere dovrebbe addirittura esserci la festa di Santa Maria. Ma questa informazione non è accurata per cui non crederci troppo. Non ho chiamato ancora mia madre per chiederglielo; lo farò più tardi. Però mi piace soffermarmi su quei ricordi. Su quei ricordi di me e i miei amici da piccoli, dell’aria di festa in casa, della processione, della passeggiata tra le bancarelle la sera e delle giostre. Dei fuochi d’artificio a mezzanotte. Dell’accompagnare la mia ragazza a casa dopo che la polizia toglieva le transenne, o di quando da cresciuti non c’era bisogno di accompagnarla più. In verità si, ma non eravamo proprio dei figli modello per cui… Spero di ricordarmene un giorno se mia figlia non tornerà a casa per stare col fidanzatino, di quella pazienza e di quella forza che ci vogliono e che a quell’età non si possono capire. Mi viene in mente poi ora che con il tempo ha cominciato a non piacermi più quella festa. Ha cominciato a stancarmi o semplicemente ha cominciato ad arrivarmi la stanchezza di quelle persone che ne parlavano male e che ne erano stanchi… può essere. O semplicemente da lontano il quadro dei ricordi è dipinto sempre un po’ “meglio” coi colori della fantasia piuttosto che con quelli della realtà. Chissà. Ma mi piacerebbe stasera poter andare a messa con i miei genitori, passeggiare poi dopo, prendere due noccioline, dividerci un panino e magari bere della vodka o dello champagne a casa parlando, aspettando i fuochi… e poi andare a dormire.

Mi piacerebbe stasera.

Lunedì, 6 Settembre 2021. Si torna al lavoro. Si torna a scuola. È la prima volta che mi ritrovo in questa “coincidenza” da quando sono qui. Nella coincidenza di riprendere a lavorare i primi di settembre, di pari passo con la riapertura delle scuole. Questo perché da quest’altra parte del mondo, agosto, è un mese come gli altri. Non ci sono “vacanze estive” e non c’è il ferragosto. Così come non c’è il Natale o la Pasqua. Non mi piaceva la cosa inizialmente ma col tempo ho imparato ad apprezzarla. Ora davvero posso capire cosa vuol dire sentirle dentro le festività. Prima era solo un susseguirsi di abitudini, ora invece… è festa davvero. Dentro me.

Lunedì, 6 Settembre 2021. Sono in metro mentre scrivo questa pagina di diario. Come al solito è piena. C’è chi ancora ne approfitta per dormire un po’, chi sta al telefono, chi è già incazzato, chi è già stanco. Questa pioggia che continua a cadere ininterrottamente da due mesi poi non aiuta. Dicono che è da anni che non pioveva così tanto a Pechino. Ci sono addirittura stati dei morti in questi mesi per la quantità di acqua caduta. Immagino sia un modo per ricordarci che qui niente contiamo e niente controlliamo. Serve ogni tanto, anche se fa male. A quelle famiglie starà facendo ancora più male, immagino, e non saranno di certo d’accordo con me. Hanno ragione.

Lunedì, 6 Settembre 2021. Al ritorno dalle vacanze a scuola, le maestre sempre chiedevano di scrivere e raccontare cosa avevamo fatto durante le vacanze… chissà se anche oggi il capo mi chiederà la stessa cosa. Chissà se anche oggi i vostri capi, vi chiederanno la stessa cosa.

Leggevo di come generalmente le cose che danno piacere all’istante sono le cose che poi fanno male nella corsa a lungo termine. Una sigaretta ora, un dolce adesso, una notte di sesso non protetto al bar, un pomeriggio sul divano piuttosto che mezz’ora in palestra… e questo perché il nostro cervello è fatto più per una soddisfazione istantanea che una in ritardo. È così dai tempi dell’homo sapiens sapiens; tempi in cui ogni scelta aveva un’immediata conseguenza. Per intenderci, se non uscivi subito per andare a caccia era troppo tardi! Ora invece il nostro cervello è sempre lo stesso ma indovina cosa… il mondo in cui siamo no! Se non usciamo per andare a correre non è troppo tardi perché possiamo andare lunedì; la soddisfazione istantanea dello stare sul divano è “più forte” e “più grande” della soddisfazione di un anno di corsa che serve per perdere peso e sembrare più atletici. Così come la soddisfazione di un nuovo paio di scarpe è “più forte” e “più grande” del (forse) avere un salvadanaio più grande per i momenti di pioggia in futuro. Allora come fare? C’è un trucchetto secondo questi studi che leggevo, ovvero dare alla scelta giusta del momento un piccolo premio immediato così da illudere il cervello che la soddisfazione è istantanea anche per quella scelta. Esempio: quando sei tentato dalla voglia di comprare quel nuovo paio di scarpe, metti in una cassa a parte quei mille euro, così che puoi comprare in futuro poi quella giacca che ti piace tanto da cinque mila. Non comprare quelle merendine quando vai al supermercato, metti da parte quei soldi in una nuova cassa, così da poter comprare l’iPhone 13 che uscirà a settembre. Quando stai pagando per le sigarette non prendere la solita stecca, ma compra cinque pacchetti invece, e metti il restante dei soldi in una nuova cassa per comprare una nuova macchina a fine anno. Il trucchetto funziona eh, è studiato e provato… dopotutto basta che si compra.

Ora, non so se hai capito l’ironia delle mie parole o se devo spiegarlo… non saprei neanche come farlo. Però certo che funziona la cosa, il trucchetto, è così! Solo che mi viene da ridere… “perché ci siamo innamorati di tutte le cose della vita che distruggono l’uomo”, mi viene in mente. Perché? E mi viene in mente questo un po’ con rabbia se penso a quell’uomo che conosco, che non ha comprato una grande macchina al momento per sé ma due più piccole, così da soddisfare i bisogni di tutta la famiglia. E mi viene in mente questo un po’ con rabbia se penso a quell’uomo che conosco, che non ha fatto tutto in nero per potersi permettere un viaggio ai Caraibi ma ha messo il sangue e il sudore sulla carta, per garantire invece i viaggi a chi ama, non viaggiando lui mai. E mi viene in mente questo un po’ con rabbia se penso a quanto credito date a persone lontane che non vi conoscono e non conoscete nemmeno, per vite di successo, quando poi chi vi sta attorno di successo, non riuscite nemmeno a vederlo. Mi viene in mente questo un po’ con rabbia perché prima di leggere libri o guardare film dovreste aprire gli occhi e guardare a quelle vite che vi stanno attorno, perché probabilmente se state leggendo queste parole su di un computer o su di un telefono non è grazie a me, o grazie ad Elon Musk, o nemmeno grazie a Ronaldo. Se lo state facendo è perché qualche stronzo (anonimo) ha preso una decisione in un momento non per sé ma per un bene più grande. Ma noi non vediamo… ma noi non vediamo.

Sono le 5:53 di domenica mattina. Ho meditato, mi sono allenato, ho letto, ho fatto colazione e mi sono messo qui a scrivere. Ho dato dell’acqua calda con miele a Coral, l’ho baciata, le ho aggiustato la coperta e tra poco mi metterò a finire una cosa di lavoro. Ogni singola scelta che facciamo ha un prezzo, ogni singola scelta che facciamo ha una conseguenza.

Ps

Avevo finito di scrivere ma forse dovevo esprimermi meglio. So che se mi stai leggendo conosci come con le parole seguo i pensieri e quindi conosci come nel mio stile passo da un viaggio all’altro. Ma voglio spiegarmi meglio su quello che ho detto nel caso è la prima volta che ti trovi qui. Quindi aggiungo una nota. Mentre leggevo stamattina di quella cosa dell’homo sapiens sapiens mi è venuto in mente cosa invece ho visto in settimana (e non visto per la prima volta purtroppo): un figlio disprezzare e parlare male dei propri genitori perché non capaci di comprargli le cose di marca (come ce li hanno gli amici) che vuole… di cui pensa ha bisogno. E mi è venuto in mente di quante famiglie fanno sacrifici e si tolgono il pane e i desideri solo per comprare il telefono o pagare l’università ai figli. O un viaggio. O una bicicletta. O un motorino. O un cazzo di cappello. E ho pensato poi a quanto tutto è diventato un comprare. Viviamo per comprare, lavoriamo per comprare. Addirittura rubiamo agli uni e agli altri (e rubare gli uni agli altri è la cosa più disgustosa che ci possa essere), solo per poi poter fare cosa? Comprare. Ovviamente.

Perché ci siamo innamorati di tutte le cose della vita che distruggono l’uomo?

Ho appena finito di ripulire email, messaggi, foto, applicazioni e conversazioni dal telefono. Ero un po’ riturbante all’inizio perché mi ritrovo a farlo ogni settimana e ho cominciato col pensare che non serve a niente. Ma se fare ciò mi fa sentire meglio e so già che fare ciò non mi farà perdere poi del tempo prezioso in settimana con distrazioni, perché no?!? Dopotutto una ripulita va fatta di tanto in tanto per sentirci più freschi e “nuovi” … altrimenti potremmo farci una doccia ora e non farla più fino all’anno prossimo… è la stessa cosa, dopotutto.

Nel cancellare una conversazione in particolare poi, mi è venuto da pensare una cosa… e sto scrivendo questo senza averne parlato prima col diretto interessato per cui chiedo scusa se in questo momento stai leggendo e ti senti chiamato in causa… ma mi sentivo di fare così. Avevo i cazzi miei anch’io in quel momento e non ti ho detto nulla e non credo ci sia bisogno di riportare a galla la cosa ora. Ti voglio bene e lo sai ed essere amici vuol dire pure accettare quando si hanno le scatole girate, per cui, è tutto ok…

Avevo chiesto una cosa, un’informazione. Banale o meno che sia, era comunque un’informazione che al momento non avevo. La risposta è stata che potevo cercare su Google. Giusta osservazione in effetti, potevo cercare su Google invece che chiedere ad un essere vivente, vivo e vegeto. Ma non è poi così per ogni cosa, in fondo, penso. Non basterebbe un porno per masturbarsi piuttosto che un’amica? Non basterebbe navigare sui social piuttosto che chiamare qualcuno e chiacchierare? Non basterebbe studiare la storia su Wikipedia piuttosto che andare a scuola? Non basterebbe leggere i libri degli altri piuttosto che scriverne uno proprio? Tanto è stato già comunque tutto detto! Non basterebbe prendersi una laurea online? O perché prendersi una laurea a prescindere… tanto c’è già tutto online comunque. A che serve sapere cos’è questo e cos’è quello? È già tutto saputo… basta cercare su Google! Perché andare dal meccanico se su YouTube puoi trovare un tutorial? Perché andare a prendere un caffe al bar quando puoi fartelo da te? Addirittura puoi farti la birra da te e bertela direttamente a casa. Perché parlare di quello che ti è successo durante la giornata con il partner, quando ci sono così tanti psicologi? Perché parlare persino con gli psicologi, quando se cerchi online puoi diventarne tu stesso uno e puoi risolvere tutto parlando da solo, addirittura…

Non lo so… forse sono fesso e stupido io, ma menomale che è così. Perché mi viene in mente il ricettario di mamma che ha scritto con milioni di prove ed esperimenti… e milioni di storie e di ricordi, e penso… che se non so come fare il tiramisù preferisco chiamare lei, chiederglielo e parlarle, piuttosto che cercare su Google: come fare il tiramisù.

Non ho idea di cosa ho scritto fino ad oggi; ho tutto sulle note del telefono e ancora non lo accendo per dargli un’occhiata. Ma stamattina sono al computer e dopo qualche giorno in cui non sapevo dove fossi, ora lo so. Quella voce che continuava a ripetermi di farlo perché tanto non sarebbe successo nulla è tornata, in quei giorni. Continuava a parlarmi. Continuava a farlo. Stavo cominciando col crederle e per due volte in quattro giorni la stavo anche seriamente ascoltando. Sogni di memorie passate o mai accadute mi passavano davanti agli occhi, in più, in quelle due ore a notte in quei giorni, in cui riuscivo ad addormentarmi. Mi facevano risvegliare male, triste.

Strano come la notte può condizionarti così tanto il giorno. Strano come un giorno può condizionarti così tanto una vita. Eppure è ovvio. Eppure ce lo dimentichiamo. Ogni singola scelta che prendiamo e facciamo ci porta a conseguenze e altre scelte e altre azioni che nel tempo diventano noi. Per cui ovvio che una scelta di un minuto in un giorno può condizionarci la vita. Mettere su le scarpe da corsa e andare a correre piuttosto che controllare le email appena svegli, leggere anche solo una pagina di un libro invece di aprire i messaggi o i social stando in metro, decidere di sentire una canzone per darci la carica, piuttosto che stare a pensare a quanto siamo stanchi il primo giorno della settimana in ufficio, prendere per pranzo qualcosa che ci da energia da mangiare piuttosto che qualcosa che ci abbuffa e ci da sonnolenza. Tutte queste piccole scelte ci portano a delle conseguenze che portano ad altre scelte che nel tempo portano a definire chi siamo.

Chi sei?

Io, ora.

E dov’eri?

Non ha importanza. Perché so che sono qui, adesso.

Oggi il piano è di mettere insieme queste “pagine” di diario e cominciare a caricarle sul blog. Devo capire come dividerle ma verrà da sé nel momento in cui le raccoglierò e aprirò il blog. L’importante è cominciare a fare la scelta giusta… il resto verrà da sé.

Che strano. Stamattina mi sono svegliato “triste” e “nostalgico”, tra ricordi e sogni di cose mai accadute, o forse sì. Tra la mia gente. Tra la mia gente che veniva a trovarmi qui. Tra la mia gente con cui ero da qualche parte altrove. Che strano. Perché neanche so se più esiste la mia gente. I tempi cambiano. Le persone cambiano. Le cose cambiano. Ed io ancora perso da tre giorni non riesco a trovare la strada di casa e neanche ho voglia di trovarla.

Dove sei?

Dove sono?